Da quando ho iniziato a tenere questo racconto dei miei giorni parigini sono stati rari i silenzi molto lunghi, talmente rari che li ricordo senza dover andare a controllare l’elenco dei post pubblicati. Hanno coinciso con momenti molto tristi, momenti eccessivamente pieni oppure con le vacanze. Quest’ultimo silenzio invece è legato soprattutto a un periodo in cui la dimensione privata della vita ha preso il sopravvento su quel che mi circonda.

Nell’ultimo post raccontavo che più di un mattino mi era capitato di svegliarmi in un letto non mio sotto la torre di Montparnasse. Ebbene, salvo il periodo delle vacanze, ho continuato a finire e cominciare molte delle mie giornate in questa Parigi così lontana da quella che ho conosciuto finora. Che poi, raramente sono uscita dal piccolo perimetro formato dalla fermata della metropolitana, la boulangerie, la farmacia e i supermercati, proprio perché la maggior parte del mio tempo qui è stato dedicato al privato, però sono bastati questi pochi passaggi per rendermi conto di essere molto lontana dal punto di incrocio fra comunità cinese, magrebina e bobo che è casa mia.

Immenso palazzo e torre di Montparnasse

Quello intorno alla torre di Montparnasse, nella zona che si estende verso nord e nord-est rispetto alla torre, è un quartiere irrimediabilmente bianco, vicino all’idea della Parigi da film mainstream e pure un po’ reazionaria. La tipologia di città cambia solo via via che ci si allontana dalla Senna per assumere sembianze leggermente più popolari ma sempre molto bianche. L’ho notato prendendo la bicicletta qualche sabato fa per studiare il percorso fra questa mia sorta di appartamento acquisito e il lavoro. Palazzoni alti, imponenti, di costruzione recente oppure semplicemente esteticamente irrilevanti che pero’ a tratti si alternano con edifici più vecchi dando luogo all’impianto urbanistico per me caratteristico di Parigi, laddove vecchio e nuovo si mescolano senza soluzione di continuità. Mi chiedo se non sia legato proprio all’espansione di Parigi e al suo inglobare via via che si ingrandiva i tanti piccoli villaggi che aveva intorno.

Probabilmente passo molte delle mie serate e notti in una Montparnasse di confine con i quartieri centrali di Parigi, pure un po’ noiosi, ma Montparnasse era anche il quartiere degli immigrati bretoni perché dalla sua stazione partivano i treni per la Bretagna, degli artisti attirati dai prezzi più abbordabili degli atelier. Conserva alcuni elementi nella grande presenza di creperie o di cinema e teatri, soprattutto in Rue de la Gaité, ma l’atmosfera resta comunque molto più europea e ricca rispetto a quella che ho conosciuto nel mio primo anno e mezzo parigino.

Quando poco più di un mese fa ho raccontato a un’amica che stavo iniziando a vedermi con qualcuno e che spesso rimanevo a dormire fuori mi ha chiesto se fossi diventata una ragazza con lo zaino. Io risi dicendo che è già da tempo che mi muovo con uno zaino in spalla ma la realtà è che aveva ragione lei e che spesso, insieme allo zaino, c’è anche una grande busta Ikea in cui trasporto cose tra una casa e l’altra temendo il momento in cui mi servirà una cosa che credevo essere in una casa e che invece sarà nell’altra. Quindi eccomi a vivere una Parigi e, forse e soprattutto, una me inedita. Una me che continua ad apprezzare i momenti di solitudine ma anche una me che vive un tempo in cui il tempo sembra non bastare mai per fare tutto senza rincorrerlo. Ma forse queste sono le frequentazioni in età adulta, destinate ai ritagli di tempo di vite che devono rendere conto ad altre divinità, in particolare quelle finanziarie.

Quindi in questi quasi due mesi sono stata presa da un’altra Parigi e da altre esplorazioni. Che non vuol dire che non abbia visto o fatto niente, anzi, però mi è mancato il tempo per raccontarlo.

Sono stata nove giorni a Firenze e mi sono riposata quando sono rientrata a lavorare il 26 di dicembre. Sono stata contenta di rivedere facce amiche ma ho avuto ulteriormente chiara la percezione che al momento il mio posto è qui.

Stavo per riuscire nel mio intento di fare un capodanno solitario e senza pretese ma il 30 dicembre a pranzo sono stata con Elio e famiglia e ho raccolto il loro invito a trascorrere il 31 sera con loro e altri amici che a capodanno non facevano niente. E’ stato uno di quei capodanni che ho genuinamente apprezzato e in cui mi sono sentita quasi del tutto integrata: le uniche italiane al tavolo eravamo io e la madre di Elio.

Ho visto qualche mostra, sono stata al cinema potendo godere dell’abitudine (almeno dentro Parigi) di mostrare i film in lingua originale coi sottotitoli. Ho mangiato la mia prima (e molte altre) galette des rois. Ho prenotato le mie prime mini vacanze in Francia da quando sono qui e pure in compagnia. Sono andata ad una lezione di fitness ballando e ho faticato a trattenere le risate di fronte alla mia scoordinazione e incapacità di ripetere i movimenti dell’insegnante. Ho partecipato ad eventi che mi hanno portata in zone di Parigi lontane dai miei interessi e ambizioni ma probabilmente molto più incise nell’immaginario di questa città come la zona degli Invalides, della Tour Eiffel e gli Champs Elysées. Ad ogni scorcio di Parigi mi sono chiesta con che occhi la guarderanno i miei genitori quando la vedranno per praticamente la prima volta tra qualche mese.

Ho ricevuto i miei primi piccoli rimborsi da parte della Mutuelle e della mia cassa di previdenza. Ho finalmente potuto fare domanda per la mia carte vitale (la tessera sanitaria locale). Ho deciso che fosse arrivato il momento di cominciare seriamente una psicoterapia perché sì, mi dò portentose pacche sulla spalla per come ho affrontato la morte di Morgane e tutto quel che è venuto dopo ma non sono ancora sicura di essere pienamente uscita dall’ovatta che ha accolto i miei ultimi 15 mesi: il pensiero di quel che è accaduto è latente ma presente e non ho voglia che interferisca col dopo che ho costruito.

Ho iniziato a scrivere sulla tastiera italiana come se fosse quella francese.

Ho visto tanto grigio ma anche cieli tersi e limpidi dalle tinte che volgevano al rosa. Ci sono state giornate primaverili seguite da due quasi rassicuranti settimane di inverno come me lo ricordavo. Ho visto qualche fiocco di neve cadere su Parigi e attaccarsi nei suoi parchi. Ho preso la bicicletta un freddo sabato pomeriggio e nelle zone più in ombra e meno trafficate restavano sottili lastre di neve ancora gelata. Altre volte invece le temperature quasi primaverili mi hanno fatto propendere per un percorso in bicicletta anziché in metropolitana, alla scoperta di Parigi sempre diverse e anche inaspettate ma poi quella in cui mi sento a casa resta la parte di città in cui ho il mio appartamento, malgrado i troppi bar e l’assenza di tapparelle.

Un sabato sera di quelli freddi freddi ho raggiunto un locale camminando lungo il Canal de l’Ourcq e ho pensato che in uno di quegli appartamenti con vista sul canale avrei voluto abitarci. Sono andata ad una mostra alla BNF (la biblioteca nazionale di Francia) e, quando uscendo ho visto i fiocchi di neve, sono stata contenta come una bambina. Ho passeggiato mano nella mano per la città per il solo gusto di raggiungere la Senna nella luce dorata del tramonto.

Probabilmente ho fatto anche tante altre cose che ho dimenticato o sui cui particolari non mi sono dilungata perché la sensazione che ho se penso a questi ultimi due mesi è di una lunga rincorsa e di pochi ma preziosi momenti per fermarmi. Quel che è sicuro è che il 2024 è iniziato meglio del 2023 e che è vero che non ci voleva molto ma è anche vero che di scontato non c’è stato niente.

Quindi è passato dicembre, è passato gennaio, psicologicamente per me a febbraio è già quasi primavera. Ho un viaggio a Nantes fissato nei giorni del mio compleanno, un’idea di massima delle mie ferie estive totalmente contronatura vista la mia atavica reticenza di fronte ai programmi a lungo termine, quattro concerti da attendere con trepidazione e un biglietto del bus per tornare a Parigi da Londra a fine luglio dopo l’ultimo in programma di questi quattro. Perché in bus e non col più comodo treno? Perché il rientro coincide con l’inizio delle Olimpiadi e i costi sono inarrivabili. Come sto vivendo le imminenti Olimpiadi? Secondo me soprattutto con inconsapevolezza ma la sensazione è che non sarà una passeggiata e le conseguenze ricadranno soprattutto su chi la città la vive. Da un lato c’è la curiosità e l’attesa di vivere nel luogo in cui si tiene una delle più grandi manifestazioni sportive del mondo, dall’altra c’è la sensazione di non potersi permettere di essere invitati. Ai prossimi mesi chiarire le intenzioni.

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