Sotto il cielo di Parigi le giornate sono sempre più lunghe benché spesso ammantate di una coltre spessa e bassa di nuvole grigiastre. Ho iniziato ad accorgermene prima all’uscita da lavoro, alle 17, sempre meno col buio; poi la mattina quando al suono della sveglia entro in cucina e posso iniziare a preparare la colazione senza bisogno di accendere la luce. Tutto questo si traduce in una sorta di sensazione di inconcludenza se dopo l’uscita dal lavoro rientro subito a casa, senza approfittare dell’allungarsi delle giornate in un modo o in un altro. 

L’occupazione principale di queste ore tra l’uscita dal lavoro e la cena mi pare essere soprattutto entrare in supermercati per comprare sempre poche cose alla volta. Da quando, come nel più classico cliché delle relazioni fra donne, passo molto più tempo sotto la torre di Montparnasse che a casa mia, la spesa mi sembra imprevedibile. Una volta a settimana arriva un cesto di verdure di scarto perché di forme o dimensioni non adatte alla grande distribuzione ma il resto viene improvvisato più o meno quotidianamente. La mia ossessione però è che ci sia sempre qualcosa da portarmi al lavoro per il pranzo del giorno dopo, anche del riso in bianco ma che non debba spendere soldi per un pranzo veloce in solitaria.

L’altra mia ossessione è la disorganizzazione spaziale di molti appartamenti che ho trovato a Parigi. In particolare la scarsa importanza che viene data alle cucine. Soprattutto la domanda che mi sorge spontanea è: come mai appartamenti di misure umane hanno cucine con solo due piastre, peraltro ravvicinate, che rendono difficile l’utilizzo in contemporanea di due pentole grosse? Mi chiedo se sia un caso, se abbia a che fare con il tipo di pietanze della cucina francese che magari non necessitano di tutti questi fornelli, oppure semplicemente dopo il lavoro si vanno a fare aperò che si trasformano in cene smangiucchiando o cene vere e proprie e allora a chi serve la cucina?

Il meteo nelle ultime settimane non è stato tanto diverso da quello che uno si aspetterebbe da Parigi: variabile, con poche giornate di sole e una netta predominanza di nuvole e pioggia. Addirittura, per il mese di febbraio sono state contate solamente 38 ore di sole, un record di grisaille che resisteva dal 1991.

Credo che il rapporto che mi pare abbiano i parigini con la pioggia meriti un commento. I parigini, salvo rari esemplari, non usano l’ombrello e come biasimarli? Cosa farsene di questa appendice mobile del braccio che non si sa dove mettere in metropolitane piene rischiando di inumidirsi ulteriormente i pantaloni? Io stessa ci ho messo molto poco ad adeguarmi. Del resto posseggo una giacca impermeabile con cappuccio e le fermate delle metropolitane sono spesso talmente ben ramificate che è raro dover camminare a lungo sotto la pioggia.

Quando non piove cerco di prendere la bicicletta, almeno al ritorno perché all’andata o non ci sono mai bici alla stazione sotto casa e già sono al limite con i tempi, se dovessi pure perlustrare i dintorni alla ricerca di una bici, il rischio ritardo sarebbe garantito. Ma a volte è un vero peccato perché nell’ultimo mese circa, il servizio di bike sharing gestito dal comune di Parigi ha visto un notevole rinnovamento nel parco mezzi non elettrici che rendono la fine del tragitto quasi un dispiacere tanto era stato rilassante fino a quel momento pedalare.

A poco meno di cinque mesi dall’inaugurazione dei giochi olimpici le domande sull’impatto che i giochi avranno sulla città si fanno sempre più pressanti. Qualche mese fa il Ministro dei Trasporti suggeriva ai residenti in Ile de France ad andare in ferie durante le Olimpiadi perché l’impatto del pubblico sarà importante su una rete di trasporti che non manterrà le promesse che aveva fatto al momento dell’assegnazione dei giochi a Parigi. Poco dopo la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, all’inaugurazione di un palazzetto che ospiterà le gare di basket nel nord della città, ha invece invitato gli stessi a restare in città perché sarà una splendida manifestazione.

In città hanno iniziato ad apparire grandi pannelli che pubblicizzano un sito il cui nome dice molto della tendenza didascalica dei francesi, anticiperlesjeux.gouv.fr, che suggeriscono, ove possibile, di privilegiare il telelavoro e, in caso contrario, di studiare già da adesso i percorsi per recarsi al lavoro. I conducenti della Ratp, il trasporto pubblico locale, hanno già dichiarato uno stato di agitazione permanente e i parigini hanno iniziato a subire l’aumento sconsiderato dei prezzi di tutto per un evento che, visti i costi dei biglietti, esclude già molti e molti ha già iniziato ad allontanare sempre di più nelle zone periferiche. Soprattutto, via via che il 27 luglio si avvicina, credo che una delle domande che inizia ad alimentare il subconscio di chi, come me, sarà a Parigi durante il periodo olimpico sia legata alla sicurezza in una città che negli ultimi dieci anni è stata esposta a più attacchi terroristici. 

Un mese fa ho iniziato la prima psicoterapia il cui obiettivo principale è quello di elaborare in maniera più strutturata la morte di Morgane. Ovviamente non parliamo solo di quello ma vedo questo appuntamento settimanale come uno spazio libero, in cui raccontare il mondo dentro e intorno a me senza temere le conseguenze di parole che dette ad alta voce sembrano perdere la consistenza cupa che hanno se solo immaginate. E forse non è solo di Morgane che ho bisogno di parlare ma anche di questo arrivo in terra straniera, senza un progetto e con la necessità di costruire da zero una nuova vita che però non può prescindere dai residui di quella vecchia.

Penso sia innegabile che la novità più eclatante di questi ultimi mesi sia il fatto di condividere buona parte del mio tempo con un’altra persona. La novità è tale non solo perché ogni frequentazione che inizia porta di per sé un cambiamento; nel mio caso poi si tratta forse della prima frequentazione che non segue percorsi tortuosi, complessi e tendenzialmente destinati all’insuccesso fin da subito. Invece, benché con i forse normali aggiustamenti legati a un mondo sconosciuto che mi si schiude davanti, da qualche mese le mie giornate non finiscono più raccontate principalmente attraverso dispositivi digitali ma vengono condivise verbalmente e fisicamente.

Per quanto siano più di due anni che racconto parti della mia vita su questo blog, credo sia solo ovvio non imporre il mio racconto su un’altra persona e non mi sento di dare più di qualche generica informazione biografica. Nello specifico che è italiana, ha qualche anno in meno di me e le nostre origini in Italia non si incrociano da nessuna parte. Di formazione letteraria, dotata di una certa giocosità e rapidità di pensiero, conoscitrice di Parigi in cui ha vissuto a più riprese negli ultimi dieci anni, condivide con me l’irresistibile sogno erotico di andare a letto alle 22 con un libro o la puntata di una serie. Cosa che non capita quasi mai perché il tempo a due sembra volare e non è infrequente trovarsi a casa verso le sette e improvvisamente rendersi conto che le 22 sono arrivate e ancora dobbiamo sistemare la cucina, farci la doccia, guardare la puntata di qualcosa e va a finire che la luce si spegne a mezzanotte senza capire come sia potuto succedere.

A volte dopo il lavoro ci incontriamo per fare due passi nelle rare giornate di sole che si allungano o per fare insieme un po’ di spesa. A volte andiamo al cinema insieme, altre da sole e poi ci troviamo dopo per dormire insieme. Altre andiamo a teatro, altre a qualche concerto. Spesso finiamo per mangiare fuori o ordinare da asporto a casa perché, oltre che dal sogno erotico, siamo unite anche da un certo amore per la gastronomia. 

Lunga fila sotto la grisaille

La scorsa settimana, ad esempio, dovevamo andare al lancio dell’ultimo numero dedicato all’aborto della rivista femminista La déferlante, in cui era previsto un intervento della premio Nobel Annie Ernaux. Ci eravamo assicurate due biglietti ma non eravamo pronte alla fila di quasi esclusivamente donne che girava dietro tre angoli nei pressi del centro sociale Césure. Dopo almeno un’ora di fila e con non più di venti persone di fronte a noi ci siamo sentite dire che non c’era più posto e ce ne siamo andate a mangiare una pizza capace di far dimenticare sia l’infruttuosa e umida attesa precedente, sia di non essere in Italia. 

Brutto livello Bobigny

Un paio di giorni dopo ci siamo trovate oltre il périphérique, a Bobigny, periferia nord-est brutta dagli impersonali alveari di Parigi, per cinque ore di spettacolo teatrale tratto da L’arte della gioia di Goliarda Sapienza. Un centro culturale che pareva una sorta di enclave bianca in una periferia di tutt’altro colore. Alla fine del primo atto ce ne siamo andate infastidite dalla sciatteria della produzione, caratterizzata da un’approssimazione e stereotipizzazione degli italiani che ai francesi probabilmente piace molto ma che per noi italiane era ai limiti dell’offensivo. 

Dopo anni ho finalmente aggiunto i Depeche Mode ai gruppi che ho visto dal vivo. Saranno stati i Depeche Mode che sanno evidentemente come si sta su un palco, sarà stata l’attesa di un solo mese fra l’acquisto del biglietto e la serata, sarà stato un concerto con la comodità di un posto assicurato sulle gradinate, sarà stato un concerto condiviso come se non sempre ci fossero quelle altre quasi ventimila persone intorno, ma l’attesa è valsa decisamente la pena perché ero pronta a farmi anche la seconda data se le contingenze non mi avessero frenata.

Sotto il cielo di Parigi a due mi sembra di vivere un’altra città, fuori e dentro casa, spesso sotto le coperte in un continuo di nuove scoperte per cui non c’è mai una serata che assomiglia all’altra o un’esplorazione reciproca di corpi e sensazioni che sia già stata cercata e vissuta allo stesso modo.

Sotto il cielo di Parigi mi piace avere nostalgia di due labbra da baciare anche se l’attesa dura solo il tempo del lavoro.

Sotto il cielo di Parigi mi sembra di vivere sempre di più vite che per un motivo o per l’altro mi sono sempre preclusa.

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