Durante una delle ultime videochiamate con i miei genitori ho dichiarato che le settimane precedenti mi erano come esplose in mano e faticavo molto a trovare un momento da consacrare con certezza alla nostra telefonata generalmente bisettimanale. Mi hanno risposto che avevano l’impressione che non fosse un caso solo delle ultime settimane ma proprio degli ultimi mesi. Avevano effettivamente ragione, gli ultimi mesi hanno completamente stravolto l’organizzazione delle mie giornate.
Se la fine del 2023 era stata segnata da una routine piuttosto consolidata di uscite di casa poco dopo le 8, rientri intorno alle 18 e fine settimana spesso da inventare, il 2024 ha portato settimane che mi sembrano sempre imprevedibili. Esco di casa un po’ più tardi per andare a lavoro ma mi sembra di non tornare mai a casa subito dopo e non so che fine faccia il tempo.
Sto vivendo fra due case o meglio, soprattutto in una, e la logistica di questa ubiquità non è sempre semplice. Quando torno nel mio quartiere mi sento a casa nel brulicare della vita che si spande per le sue strade affollate, per gli innumerevoli bar e ristoranti; quando rientro in casa mia riconosco tutti i miei oggetti. E se è vero che spesso mi mancano i miei momenti di silenzio in cui disperdere la stanchezza delle giornate, è anche vero che in realtà scalpito per tornare in quella con gli spazi più adeguati a viverla ma soprattutto quella in cui non sento l’irrequietezza di qualcosa che manca.
Scrivere in maniera così diradata nel tempo fa sì che rischi di dimenticare cosa è successo fra un post e l’altro al punto che mi sembra non sia successo niente. Invece scorrere la galleria delle foto di quest’ultimo mese è una sorpresa continua di piccoli eventi dimenticati. Non tutti, ma molti sì, spazzati via dal passaggio del tempo e, soprattutto, da una tosse comune a molti parigini che mi ha accompagnata per tre settimane intense più una in cui va meglio ma so di non aver ancora recuperato al 100%.
Pensavo di aver pubblicato l’ultimo post di sabato, dopo una giornata di grandi pulizie in casa mia e prima di una domenica in cui sono andata a prendere Elio a casa e l’ho portato a vedere una partita di calcio femminile, derby parigino in semifinale di Coppa di Francia tra Paris Saint Germain e Paris FC. Non lo vedevo da mesi e mi mancava, avevo proposto questa uscita senza essere sicura che una partita di calcio femminile cogliesse il suo interesse ma è evidente che Elio appartiene ad un’altra generazione e ha accolto il mio invito con entusiasmo. Così dopo un pranzo con lui e la madre, abbiamo salutato la genitrice e preso la macchina per dirigerci verso Bondoufle, località a sud di Orly raggiungibile con un tratto del famigerato périphérique e un pezzo di superstrada. Lo stadio era affollato e i parcheggi impreparati ad accogliere il gran numero di tifosi accorsi a vedere la partita. E’ stato piuttosto commovente vedere le qualche migliaia di persone sugli spalti, in particolare il gran numero di famiglie con bambini e bambine. La partita è finita ai rigori dopo uno scoppiettante 3 a 3 nei tempi regolamentari con quasi rissa finale negli ultimi minuti prima dei calci di rigore. Anche se noi tenevamo per la squadra che ha perso (il Paris FC), all’uscita Elio ha scorto il banco del merchandising e, davanti alla sua entusiastica richiesta, non ho potuto resistere all’acquisto della sciarpa celebrativa della partita da donargli.
Avevo invece pubblicato l’ultimo post alla vigilia dell’8 marzo che ho trascorso alla Maison de l’Italie fino a poco prima di cena, non perché abbia lavorato fino a quell’ora, bensì perché uno dei nostri residenti aveva organizzato un atelier di smalto per unghie con le nostre due meravigliose donne delle pulizie. Poi io, incapace di lasciare i posti in cui sto bene, mi sono attardata in chiacchiere con questi studenti con cui intrattengo rapporti soprattutto amministrativi ma che hanno, anch’essi, storie da raccontare e sguardi sul mondo sempre interessanti e quando passano dalla segreteria offrono spesso qualche minuto di distrazione e leggerezza.
Nelle settimane che sono seguite ci sono stati due turni di grandi pulizie in casa mia, una cena al Bouillon Chartier, una sorta di trattoria dal decoro in stile Art Nouveau in cui si mangia cibo tipicamente francese a prezzi molto ridotti nella confusione di un locale grande e a buon mercato, un concerto di musica classica (Tchaikovsky e Dvorak) all’anfiteatro della Sorbona, un pomeriggio in bicicletta fra la Tour Eiffel e gli Champs Elysées e un centro città in cui non si trovavano stazioni in cui lasciare le biciclette perché quel sabato di sole tutta Parigi pareva avesse scelto di muoversi verso il centro in bici.


Ci sono state notti dal sonno frammentato e vari medici e passaggi in farmacia che mi dicevano tutti la stessa cosa (la tosse passa in circa tre settimane) e intanto mi davano ognuno uno sciroppo diverso.
C’è stato il mio compleanno festeggiato a due la vigilia tra massaggi thai col gestore del centro che si è voluto rassicurare che sapessimo cosa fosse un massaggio thai prima di cominciare, seguito da una cena cinese. C’è stato il mio compleanno festeggiato il giorno stesso all’Istituto italiano di Cultura perché coincideva con la notte della poesia e come Maison de l’Italie avevamo co-organizzato un evento animato da due delle nostre residenti.
Ci sono stati quattro giorni a Nantes infestati dal malessere fisico dovuto alla tosse e alla scarsità di sonno che mi hanno impedito di godere a pieno di quattro giorni senza niente da rincorrere in una città che viaggia a un passo più rilassato di Parigi, capace di regalare scorci di eleganza d’inizio XX secolo e macchine teatrali imponenti. L’impedimento di godimento non si applica al cibo: ho mangiato molto bene. Curiosamente, anche a Nantes sono stata seguita da una torre di dubbio gusto architettonico molto simile alla torre di Montparnasse: la tour de Bretagne.

C’è stato un venerdì sera in cui dopo lavoro dovevo andare a casa da sola ma poi ci siamo trovate a due in un bar militante di Bagnolet, oltre il périphérique a nord-est di Parigi, a ballare la fanfara come se nella stanza non ci fosse nessun altro.
C’è stata Pasqua trascorsa in un paesino di qualche centinaia di abitanti sulla Senna raggiungibile in circa un’ora e mezzo di trasporti e passando per Mantes-la-Jolie che di jolie (bella), cattedrale a parte, non ha molto in quel ammasso di casermoni abitati principalmente da stranieri che si portano addosso lavori umili, stanchezza e probabilmente la sensazione di essere stati dimenticati. Io invece ero più verso la campagna, tra gli stranieri artisti, in buona compagnia ma a struggermi della nostalgia del verde della ruralità e dei pranzi conviviali tipici della mia famiglia in senso largo.

C’è stato che forse è stata la nostalgia (insieme all’assenza di sonno) il sentimento più presente in queste ultime settimane d’inverno. La nostalgia di casa, della famiglia, degli amici, della libertà di movimento data da una macchina, della vicinanza geografica di luoghi da visitare. Questo sentimento di cui ho parlato con la psicologa, italiana, che mi ha rassicurata: è ciclico e arriva ogni due/tre anni, poi generalmente passa.
C’è stata Pasquetta, lenta, con un brunch in parte comprato e in parte cucinato in casa; un caffè con la mamma di Elio, un passaggio per casa mia a prendere dei documenti che mi servivano per fare la domanda di logement social (le case popolari) e una serata sul divano letto a chiederci perché infliggerci la visione di It’s a sin. Perché è molto bella, questo è il motivo.
C’è stato che il giorno dopo aver fatto la domanda per la casa popolare è uscito un podcast di Le Monde in cui si parlava della grande crisi degli alloggi ad affitto ridotto, all’aumento della domanda e alle difficoltà a farvi fronte a causa anche dei costi elevati delle materie prime per costruirli per cui possono volerci anche dieci anni per vedersi assegnata una casa. La mia domanda però è stata ufficialmente accolta un paio di giorni fa e, nelle zone che ho richiesto, il tempo di attesa per l’assegnazione si attesta fra i 40 e i 46 mesi.
C’è stato che è arrivata la primavera, ha fatto un saluto e poi se ne è andata per qualche tempo per poi tornare con la sua alternanza di caldo, sole e temporali. Intanto i parigini hanno cominciato a riversarsi nei parchi, distesi nell’erba, sputati fuori dai loro appartamenti microscopici per godere di questo fenomeno a lungo sconosciuto nei mesi invernali che si fa vivo tra le fronde nuovamente verdi degli alberi.
E allora forse si capisce l’ossessione dei parigini per le terrasses, i tavolini all’aperto dei bar, che in queste settimane creano un sottofondo di vita sempre più rumoroso per le strade, come a ricordarsi che va bene lavorare ma poi è importante anche trovare il tempo di rilassarsi al di fuori delle mura spesso troppo ristrette in cui abita una buona parte della popolazione che compone questa città.