Quando ho pubblicato l’ultimo post, la primavera era arrivata senza bussare, proprio sicura sicura, forse anche troppo. Il secondo piumone era stato dunque lavato e riposto, i maglioni alleggeriti, le maniche accorciate, i capelli asciugati al vento. Il sabato era stato trascorso fra fiere del libro, sudate in bicicletta, un salto alla stazione di Montparnasse per un treno troppo tardivo per andare a vedere Parigi dall’alto dal parco dell’osservatorio di Meudon e allora ripiegare verso la rive droite e il Canal Saint-Martin. Un aperitivo a base di birra e patatine comprate al Franprix lungo il canale, circondate da una folla di parigini che avevano avuto la stessa idea, con solo una camicia aperta sopra la maglietta a maniche corte. Una passeggiata serale per strade brulicanti di ristoranti e di persone, tra cui le due figlie di una delle mie cugine incontrate per caso sotto la porte Saint-Martin.
Poi è arrivata la domenica mattina, grigia come sa essere Parigi, e con lei i miei genitori. Senza nessuna correlazione fra le due cose, attendevo la loro visita con gioia e non lo dico solo perché leggono questo blog, ma perché era proprio così. Tra il Workaway e il trasferimento a Parigi sono partita da praticamente due anni e loro non erano ancora venuti a trovarmi. Addirittura, a parte un rapido passaggio a sedici anni di mio padre, non erano neanche mai stati a Parigi.
Li ho portati a casa mia, con quella preoccupazione filiale di offrire un appartamento al terzo piano senza ascensore, con qualche spiffero, la doccia piccola e i tubi del bagno a vista e che raccolgono sporcizia. In una camera da letto senza persiane e strategicamente piazzata sopra alcuni rumorosi bar. Probabilmente in realtà li stavo portando nei miei spazi, nella mia vita che ho costruito quasi da zero quando sono partita, in un quartiere che ero sicura avrebbero apprezzato e col privilegio (reciproco) di avere la casa tutta per loro e i loro tempi per quasi dieci giorni. E’ stato a tratti commovente sapere che sono andati al mercato, che si sono costruiti una sorta di routine con la mia boulangerie preferita della zona, che hanno apprezzato il mio ristorante cinese e la mia creperia del cuore, che quando hanno avuto la possibilità spostarsi nella stessa casa in cui ero io, hanno preferito restare nella mia. Che forse ci sentivamo tutti più liberi così, in una sorta di illusione che non erano in visita, semplicemente abitavamo nella stessa città e, senza correrci dietro, ci vedevamo al di fuori dei miei impegni quotidiani.
Li ho portati in alcuni dei miei luoghi preferiti di Parigi e dintorni. Il mercato delle Lilas la domenica, il parco delle Buttes Chaumont strapieno l’unico pomeriggio di tempo primaverile che hanno trovato prima che tornasse l’inverno; il cinese del Sichuan di Belleville in cui si è talmente stretti che si può finire a chiedere ai vicini di tavolo, algerini che abitano in zona, dove mangiare un buon cous cous. Il Pavillon des Canaux sul canale de l’Ourcq per incontrare Elio e la madre che sono stati un po’ la mia famiglia parigina. La Maison de l’Italie e la Cité Universitaire. La casa (e la sua inquilina) sotto la torre di Montparnasse in cui trascorro talmente tanto tempo che il mio cellulare, quando faccio le foto lì, la riconosce come “casa”. E poi altri luoghi che ho consigliato o in cui si sono persi autonomamente percorrendo a piedi distanze da tappe di un cammino.
Ho anche preso un giorno di ferie e, raggiunti pure da mia sorella, siamo andati a Provins, piccolo borgo medievale a sud-est di Parigi raggiungibile in circa un’ora e mezzo di treno da Gare de l’Est se, appena partiti, il capotreno non annunciasse che, a causa di un problema tecnico, il treno farò capolinea a Longueville che dovrebbe esserci un bus sostitutivo mais rien n’est assuré, niente è assicurato. Quindi trovarsi alla stazione di Longueville, paese abbastanza sperduto e non particolarmente interessante, ad aspettare un bus che non viene sotto la pioggerellina, inizialmente ballando con mia sorella la musica trasmessa dalla cassa di un passeggero ugualmente in attesa, poi sempre più innervositi finché, dopo un’ora, sui binari è arrivato un treno che, senza alcun tipo di annuncio, ha poi effettivamente proseguito la sua corsa verso Provins e la sua aria rilassata di provincia turistica in bassa stagione.
Poi piano piano sono ripartiti tutti. Prima mia sorella, poi colei che sul blog non ha nome ma ha molto spazio nella mia vita, infine i miei genitori. Rimasta sola le mie giornate non si sono rilassate, non ho smesso di correre a destra e sinistra inseguendo la vita oltre il lavoro (che, per quanto mi piaccia, toglie tempo ad altre cose che mi piacciono), anzi. In più, il tempo ha acquisito una consistenza più volatile, rarefatta, come se d’un colpo fosse sparita la sostanza. Che sì, ho fatto anche cose che mi sono piaciute, sono stata a cena con persone a cui voglio bene e con cui mi sono divertita, mi appresto a rientrare nel vivo dell’organizzazione dell’edizione 2024 di Dolcevita-sur-Seine, non ho avuto il tempo di annoiarmi, ma in queste due settimane di solitudine mi sono sentita nuovamente una scheggia impazzita che non trova un posto in cui posarsi.
Dunque nelle ultime settimane ho rifatto un tour di buona parte di Parigi, sono rabbrividita sotto le folate di un vento polare, ho goduto di alcune serate terse in cui la città sembrava voler rimettere in pace i suoi cittadini con l’energia che richiede abitare qua, a causa di un bagaglio dimenticato a bordo ho aspettato a lungo un bus che dall’aeroporto di Orly mi riportasse in città e mi sono chiesta: come sarà vivere e lavorare a Parigi durante le Olimpiadi?
Per ora sulle linee dei trasporti che servono gli impianti olimpici ha cominciato a comparire la segnaletica dedicata in rosa. Sulle linee che intersecano la metro numero 14 ha iniziato a comparire il simbolo dell’aeroporto facendo prefigurare un’imminente apertura del prolungamento verso Orly. Io continuo a vivere in una certa inconsapevolezza delle ripercussioni che i giochi olimpici avranno sulla mia quotidianità. So che però me ne renderò per forza conto ad un certo punto: sarò a Parigi durante l’intera durata dei giochi, saltando giusto la temibile inaugurazione con sfilata sulla Senna che, a meno di tre mesi dall’inizio, pone ancora molti interrogativi di sicurezza.
Per ora la rete del trasporto pubblico non sta rassicurando particolarmente i suoi utenti.
Cinema
I due teatri de la ville dirimpettai
La sensazione di far parte di un unico esercito del mattino
Frequento talmente tanti italiani che a volte mi chiedo se sono davvero a Parigi