Dopo un inverno che mi dicono essere stato particolarmente rigido, una decina di giorni fa, nel giro di poche ore, a Parigi sembra essere arrivata la primavera e le temperature si sono alzate improvvisamente di una decina di gradi. Come se non bastasse, nei giorni che hanno preceduto questo repentino cambio di stagione addirittura il sole si è visto per quattro giorni su cinque. La temperatura oscillava intorno allo zero ma in una zona del mondo in cui non si sono registrati più di tre giorni di fila senza nuvole da settembre 2023, anche pochi gradi ma col sole e nuvole sparse sono vissuti con entusiasmo. Per un processo per me totalmente contro intuitivo, apparentemente da queste parti la qualità dell’aria è spesso peggiore in assenza di nuvole.

Se gennaio era sembrato incredibilmente lungo, febbraio mi è parso iniziato e finito in un paio di settimane e io mi sento pronta per le promesse di marzo. O più che pronta per le promesse, in attesa delle fatiche di un mese che si preannuncia scoppiettante tra visite, concerti e un fine settimana a Londra. A dire il vero lo scorso fine settimana ho avuto il coraggio di affrontare il calendario dei prossimi mesi e già mi chiedo se non abbia riempito gli spazi vuoti con troppo entusiasmo. Del resto è difficile annoiarsi a Parigi ma ogni gita fuori città porta con sé la sensazione di liberazione dalla ragnatela di questa città.

Abitare di fronte ad una stazione fa sì che i treni delle 7 del mattino facciano meno paura di quanto dovrebbero, così come i rientri ben dopo cena. A fine gennaio, ad esempio, in maniera del tutto estemporanea, abbiamo deciso di andare al Festival del fumetto di Angoulême. La Francia è uno dei maggiori fruitori, se non il maggiore, di fumetto del mondo cosiddetto occidentale e le librerie specializzate sono innumerevoli. Pur non essendo mai stata al Lucca Comics (shame on me) al quale il festival di Angoulême si è ispirato, ero curiosa di vedere come potesse essere un festival di fumetto. Ebbene la città era piena ma non troppo, il pubblico era raramente travestito, le persone in generale sembravano molto contente e rilassate. Sospetto che il meraviglioso sole che ci ha regalato la Charente, regione di cui Angoulême è capoluogo, aiutasse. Camminare sull’acciottolato di un piccolo borgo medievale col sole in faccia e il cielo di un azzurro netto e profondo sopra la testa dopo mesi di grigio e malumore dei concittadini aveva il sapore di una rinascita, di una vita che poteva ancora avere delle gioie da regalare. Il panino che ci siamo mangiate al sole su un panchina sopra le mura, con il verde delle campagne circostanti di fronte a noi da solo ci ha ripagate del viaggio. Poi ci sono stati anche gli incontri a cui abbiamo partecipato, curiosamente e casualmente quasi esclusivamente autori inglesi, la mostra della meravigliosa Posy Simmonds, la calca negli stand che ci ha impedito di comprare più fumetti del dovuto e l’ennesima consapevolezza che gli organizzatori francesi non sanno organizzare le file di accesso agli eventi. Non necessariamente una esperienza da ripetere ma sicuramente una vissuta con piacere e la leggerezza di quella che è sembrata quasi una vacanza.

Mi chiedo se guardare la Francia con occhio straniero non contribuisca a farne risaltare le contraddizioni. Un paese ad esempio rinomato per la sua cucina ma in cui appena dici che sei italiana, i francesi si sciolgono in un rivolo di entusiasmo e desiderio di pizza, pasta, tiramisù e bruschette. Un paese di cui si decantano l’eleganza e la poesia ma che ha la capacità di rovinarla con edilizia popolare di rara bruttezza per poi sorprendersi se chi ci abita dentro le vuole dare fuoco. L’apoteosi di questo controsenso per me sta in Mantes-la-Jolie, città storica medievale accanto alla quale nel secondo Dopoguerra è stato costruito un complesso di circa 8000 alloggi popolari che di bello non hanno proprio niente per accogliere gli operai delle fabbriche circostanti e che oggi è considerata una periferia calda. C’è sempre qualcosa di dissonante in queste placide città o anche villaggi storici attorno ai quali vengono costruiti palazzi che sembrano dei cassoni senza anima in cui rinchiudere le persone pensando che un tetto sopra la testa basti a vivere.

Le conversazioni fra italiani che non si conoscono a Parigi iniziano tutte nello stesso modo: di dove sei? Da quanto tempo sei a Parigi? Come ti trovi? Dove abiti? Sono le domande rompighiaccio e quelle che spesso contribuiscono a scrivere una storia comune di partenze. A seconda del contesto poi possono virare verso esperienze comuni indipendenti dalla nazionalità oppure verso come reperire un dato alimento e, soprattutto, come farlo a dei prezzi che non fanno gridare al ladrocinio. Nel nostro caso, questo ha preso il nome di Mammapack, un servizio tanto lento dal punto di vista informatico quanto alimentatore di un entusiasmo quasi infantile all’apertura di due pacchi ricolmi di tipi di pasta e biscotti introvabili qui a prezzi situati a metà fra quelli italiani e quelli parigini.

Passeggiata nel parco di Sceaux

Febbraio è stato meno movimentato di gennaio e probabilmente di tutti i mesi che lo hanno preceduto. Un po’ perché abbiamo volutamente cercato di non riempirlo troppo (pur riuscendo ad andare a teatro tre volte in una settimana), un po’, forse, anche perché due settimane del mese le sto trascorrendo sola. Settimane in cui ho cucinato poco perché gli avanzi durano più a lungo da sola, in cui ho dormito molto perché tornata a casa mi restava poco oltre cenare e guardare un film, ma anche settimane in cui la città mi è sembrata vuota, come se da sola non sapessi più come viverla fino in fondo. L’ho attraversata in bicicletta per andare a comprare tè e tisane un sabato di sole, ho visitato il parco di Sceaux a sud per una passeggiata domenicale, sempre sotto il sole, ma ho trovato lo stesso queste settimane malinconiche. Sarà stata la solitudine, gli spazi vuoti, il tempo di pensare, le riflessioni sul tempo che passa e la sensazione di essere in un punto stabile ma a cui manca l’ambizione di fare di più. O semplicemente settimane in cui mi è più facile guardare a quello che non ho o non riesco a fare piuttosto che a quello che ho e faccio.

Quindi febbraio è passato, carico di pioggia, freddo pungente ma anche della speranza della primavera imminente e di pomeriggi dopo lavoro in cui magari fare una passeggiata prima di tornare a casa, come fosse l’ora d’aria di giornate trascorse a guardare il cielo dalla finestra. Tre anni fa partivo da Firenze con uno zaino e le coeur ouvert à l’inconnu. Ho viaggiato, sono tornata a casa per poi lasciarla sei settimane dopo convinta che non ci fosse alternativa. Sono arrivata a Parigi con una valigia, uno zaino e la leggerezza dell’incoscienza. Non tornerei alla vita di prima ma questa è quella settimana tipica nella vita di ogni expat in cui avere nostalgia anche dei motivi per cui si è deciso di partire.

Un pensiero riguardo “Sous le ciel de Paris / 54

  1. Che bello rivedere Parigi e la Francia con te….non so quando riuscirò a tornarci a cuor leggero. Grazie! Ho scoperto l’amour ne suffit pas di Lambda, fumetto di 300 pg stupendo sui narcisisti. Me ne segnali uno sulle donne e sulla morte della famiglia, esiste? Vorrei iniziare quest’avventura di scrittura di una graphic novel e mi piacerebbe sapere se esiste qualcosa già pubblicato. Un abbraccio

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