Credo che il luogo da cui sto iniziando a scrivere sia indicativo della mia volontà di trovare il tempo per aggiornare questo blog. Sono al parco della biblioteca delle Lilas e ho un computer con me perché fino ad ora avevo un occhio su Elio e uno su un documento inDesign che sto impaginando. Se la connessione internet non fosse pressoché nulla probabilmente starei facendo altre cose di lavoro che necessitano di una connessione ma, coi mezzi a disposizione, ho fatto quel che potevo fare e ora mi prendo un momento per rimettere insieme appunti annotati sul cellulare negli ultimi dieci giorni.

Intanto, poiché sono al parco, comincerei con un commento su questo luogo e sul mio modo di starci. Il parco non è enorme ma è ombreggiato ed è un luogo di ritrovo di molti bambini dopo la scuola, con la bella stagione più che mai. Devo ammettere che non è un lavoro faticosissimo, molto spesso si tratta di guardare Elio giocare, assicurarmi che non faccia sciocchezze e nel frattempo leggere, lavorare sul festival, chiacchierare con altri genitori. Ultimamente più le ultime due cose. Ormai c’è un padre a cui ho potuto chiedere di dare un occhio a Elio mentre col benestare dei genitori andavo a casa loro ad occuparmi di una consegna per loro e la settimana dopo gli ho ricambiato il favore quando sono rimasta a guardare i suoi figli giocare mentre lui andava a recuperare dei moduli al vicino conservatorio. Ma, al di là di questo episodio, ci sono momenti in cui mi sembra di comportarmi come se molti di questi bambini fossero miei. Che sia la bimba che vuole giocare a muretto mentre la maggioranza preferisce la partita di calcio, o che sia il bimbo che arriva e mi dice che si ricorda di me dopo che il giorno prima abbiamo giocato insieme, fino ad arrivare al ragazzino un po’ più grande che giocando a muretto si prende una pallonata e inizia a perdere sangue dal naso da rifornire di fazzoletti. Insomma, sono tutti bambini che non mi lasciano indifferenti e molti mi associano ormai a Elio e mi chiedono dov’è quando non riescono a trovarlo al parco. Tutti mi chiamano « Madame » e a molti devo spiegare che no, non sono la madre di Elio. Ma mi immagino la loro confusione iniziale visto che sanno che ha una madre italiana.

A Parigi dunque è definitivamente arrivata l’estate con le sue temperature più alte della norma, la metro ha acquisito la sua canicola e il suo olezzo di stagione, io ho tirato fuori il pigiama estivo e ho iniziato ad informarmi: ma al terzo piano potrò dormire con la finestra aperta? 

Passare da non lavorare a lavorare all’ultimo mese che precede un festival dal programma ambizioso è stato come entrare in un vortice fagocitante da cui ad un certo punto mi sono imposta di staccarmi per qualche ora. Però lavoro con piacere, mi piace il lavoro, mi piace l’équipe e si sta rivelando una grande scoperta della quantità di cose che sono in grado di fare e di quelle che mi piace fare. Oltre ad essere un’esperienza piuttosto rivelatrice di miei aspetti caratteriali sul lavoro: orientata all’obiettivo più che al lavorare tot ore, perseverante, rigorosa, precisa, organizzata, con spirito di iniziativa e proposte per risolvere problemi, con un’ossessione per il corretto allineamento dei testi e delle immagini, in grado di lavorare su più fronti e in più lingue. In totale trip da Excel di cui sto usando molto poco le formule ma che è diventato il mio migliore amico per mettere ordine tra le cose.

Ho la testa talmente riempita dal lavoro che ho davvero poco spazio per pensare ad altro, benché dovrei. Dovrei, ad esempio, aggiornare il mio curriculum e inondarne Parigi sull’onda di questa nuova consapevolezza in cui realizzo che le cose che ho imparato nel mio precedente lavoro e che ho usato in maniera più vigilante che operativa, le posso anche usare per fare anche con un certo grado di autonomia. Ma, come mi diceva una collega stamattina, i festival sono così: all’inizio vieni fiondata in acqua senza esser sicura di sapere nuotare, una volta che sei lì però, non hai altra soluzione se non imparare a farlo e lo fai.

Penso anche di rado a Morgane. Di rado nel senso che è poco il tempo di ogni giornata che le dedico ma è ancora inevitabile pensare a quanto sia stato tutto surreale e irreale. Sono attimi fugaci, mi prendono a tradimento mentre ho la testa su tutt’altro, quando mi fermo per un attimo, mi ricordo cosa è successo e non capisco come sia possibile che sia successo per davvero. Ed è come sprofondare nelle sabbie mobili dello struggimento per un momento, è tutto molto rapido ma continua ad essere una sensazione un po’ violenta.

Poi capita anche di andare al mercato, durante la coda realizzare che una delle commesse le assomiglia incredibilmente (o assomiglia incredibilmente al ricordo che ho di lei, come si fa a ricordarsi una persona che si è vista forse 24 ore in totale accorpando le poche volte che si è vista?) e sbriciolarsi nel ricordo fino ad estraniarsi e non realizzare che è il proprio turno.

Una parte di coulée verte, il verde si vede dietro i palazzi

Giovedì ho visto un’amica e mi sono finalmente fermata a pranzare in uno dei piccoli locali che costeggio quando vado o torno dalle Lilas a piedi, un menù breve ma fresco in cui abbiamo condiviso un gazpacho, un riso con pollo, una pita con melanzane e una sorta di zuppa dolce di semolino e fiori d’arancio. Abbiamo anche fatto un giro per negozi dell’usato alla ricerca di un rinnovamento etico del mio guardaroba ma sono tornata a casa soprattutto con una bella passeggiata lungo la coulée verte, una vecchia ferrovia che un tempo collegava la stazione della Bastiglia con tutto l’est parigino e che ora è una passeggiata verdeggiante in mezzo ai palazzi, nonché l’evidenza empirica della differenza che fanno gli alberi in città quando arriva il caldo. Quando non ero sotto gli alberi però ho preso anche molto sole e sono tornata a casa con un gran mal di testa ma, soprattutto con un atroce dubbio: se non fosse arrivata prima di noi una ragazza, avremmo fatto qualcosa di quella coppia che stava litigando mettendosi le mani addosso o saremmo passate oltre?

Domenica pomeriggio, invece, sono andata nella zona sud di Parigi, il per me pressoché sconosciuto quattordicesimo arrondissement, per sentire il coro in cui canta una delle mie colleghe. Ci sono andata con una delle mie osti del Workaway che ora abita a Parigi, lei molto contenta di sentirsi dei mottetti di Bach, io molto contenta di aver mantenuto dei legami da quel viaggio. Dopo siamo andate a mangiare in un bar vicino alla cappella del concerto con anche la mia collega e il suo compagno. Abbiamo preso la pizza e la mia Margherita non aveva niente da invidiare alle Margherite italiane, anche il prezzo era quasi civile.

Una foto da quella sera lì

In mezzo al mio frullatore lavorativo di tanto in tanto penso al fatto che il mio impegno è a tempo molto determinato e che a breve sarà anche tempo di vacanze per Elio. Parigi, però, ad agosto si svuota e vedo molto improbabile trovare un lavoro in partenza dopo la metà di luglio, soprattutto visto che ho ancora una certa precarietà burocratica che rende difficile assumermi per alcuni. Ho quindi deciso che questo mio primo anno parigino è stato sufficientemente faticoso da meritarmi di passare agosto coi genitori al mare anziché sola in una deserta Parigi a pensare al fatto che esattamente un anno prima mi ero messa a sedere in un bar da sola per vedere se sarebbe successo qualcosa. Curiosamente, quella stessa sera, mi ero guardata con attenzione una mostra sul Lungosenna. Una mostra portata lì da Dolcevita-sur-Seine.

Senza farlo apposta, ho il volo per rientrare in Italia lo stesso giorno di quello in cui sono partita per Parigi un anno fa. Che, se ci penso, ancora mi chiedo in che stato di trance inconsapevole fossi per decidere di salire su un aereo con una valigia e uno zaino e niente di certo ad aspettarmi dall’altro lato. Invece l’ho fatto e ancora non riesco ad immaginarmi realmente da nessun’altra parte.

Un pensiero riguardo “Sous le ciel de Paris / 33

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