Qualche settimana fa avevo iniziato a scrivere. Era passato talmente poco tempo dal post precedente che ero decisamente fiera dell’afflato che mi aveva portata ad aprire il sito per scrivere con ben altro anticipo sul solito. Poi però ero dovuta uscire senza aver superato i pochi paragrafi e adesso, circa tre settimane dopo, la fatica e la rabbia nei confronti dell’organizzazione del concerto di Taylor Swift che avevano caratterizzato quei primi appunti sono state soppiantate da molte e più interessanti cose.

Non che il concerto di Taylor Swift sia stato poco interessante, anzi, sono contenta di aver vissuto un fine settimana con mia sorella e mio cognato culminato col concerto. Concerto ben costruito, lungo, esaustivo della carriera finora della Swift, scaletta di grandi hit, divertente ma non sono io il pubblico di riferimento di Taylor Swift e le tre ore di spettacolo alla lunga mi hanno un po’ affaticata. Ma forse la bomba d’acqua che ci aveva investiti prima di entrare, le interminabili code per qualunque cosa, l’assenza di cibo, la domenica sera e la sensazione di essere solo carne pagante che mi dà andare ai grandi concerti non hanno aiutato ad abbandonarsi alla sola musica e allo spettacolo antropologico di una folla di prevalentemente donne vestite proprio come Taylor Swift, paillettes, stivali da cowboy e molta pelle a vista.

Ma non è Taylor Swift a rappresentare l’unico mio passaggio nella musica dal vivo. La settimana precedente avevo assistito ad alcuni dei concerti del Festival Canzoni e Parole, un po’ per lavoro ma la maggior parte per piacere, soprattutto di ritrovare vecchie conoscenze (Peppe Voltarelli), pezzi di famiglia (Carlo Pestelli), curiosità che mi portavo dietro da tempo (Giovanni Truppi) e una garanzia che per ora non mi ha mai delusa (Cristina Donà, alla quale ho potuto raccontare di quella volta che andai da sola ad un suo concerto alla Flog di Firenze ma non mi sentii sola neanche per un istante). Con un curioso fuori festival in un locale minuscolo a sentire Miriam Ricordi in solo, chitarra elettrica, voce e amplificatore gracchiante con le percussioni talvolta assicurate dal barista con in una mano un ovetto e nell’altra il pos in un’atmosfera totalmente punk.

Mentre aspetto di chiudere questo mese musicale con il concerto dei The National di domani, c’è stata una parentesi di tempo primaverile tendente al caldo, con un pranzo sul marciapiedi della Rue de Belleville e le sciarpe in testa a riparare dal sole; una passeggiata con assopimento nel parco di Belleville e poi poco altro perché è tornata una sorta di autunno piovoso e grigio capace di confondere le idee sul reale mese dell’anno.

13esimo arrondissement

Ho passeggiato per il per me sconosciuto tredicesimo arrondissement, rilassata da alcuni suoi scorci di casette mono familiari in villaggio tranquillo che mi hanno fatto pensare che in quel quartiere forse mi piacerebbe vivere. Mi sono affacciata alla serata organizzata dal comune di Parigi per festeggiare i dieci anni del matrimonio egualitario scappandone poco dopo un po’ infastidita dalla pacchianeria dei festeggiamenti. Ho comprato camicie all’usato, fatto un tour di alcuni bar queer chiedendomi dove siano quelli di Firenze, raggiunto persone in un bar del Marais nascosto, senza pretese, genuino, con delle super patate arrosto e prezzi che non sono lievitati come tutto ciò che c’è intorno.

Sono stata a teatro a Nanterre, banlieue occidentale, e ho attraversato il parco che separa il teatro dalla stazione con una meraviglia affascinata dal contrasto tra il verde rigoglioso e sereno del parco coi grattacieli che lo circondano. Ho fatto la mia prima dichiarazione dei redditi in Francia e bevuto una ginger beer mangiando grissini con un amico su una panchina all’interno di un giardino, circondati da quegli scorci tipicamente parigini di palazzi haussamaniani ed edilizia popolare.

Nanterre

Alla Maison de l’Italie abbiamo ospitato un incontro in cui uno dei protagonisti era Emmanuel Carrère ossia uno di quegli autori di cui ho letto famelicamente alcuni libri.

Ho partecipato alla mia prima Fête de la Cité (Universitaire), prima all’aperitivo organizzato dal comitato dei residenti della Maison de l’Italie, poi andando di Maison in Maison per vedere cosa succedesse nelle altre parti di mondo racchiuse in questo sud di Parigi.

Ho visto partire le mie prime residenti in lacrime e ho capito cosa intendesse la mia direttrice quando durante il colloquio che ha portato alla mia assunzione mi parlava della sindrome della maestra dell’asilo.

Ho cominciato a lavorare su Dolcevita-sur-Seine anche quest’anno e mi sono trovata in mezzo a giornate in cui finito un lavoro ne attaccavo un altro ma contenta di partecipare a quello che di fatto è uno dei più grandi eventi italiani a Parigi, se non il più grande.

Ho finito la parte del mio percorso terapeutico legato al trauma ed è stata una liberazione lasciare andare l’ultimo lembo di quel senso di colpa che, checché ne dicessi, probabilmente mi teneva ancora attaccata al dolore. La morte di Morgane è sempre presente ma via via più lontana. Non è più la prima cosa che racconto o quella che mi provoca un piacere quasi morboso nel descrivere. Non è neanche una storia che ripercorro come se non fosse accaduta proprio a me ma non mi accompagna più quotidianamente ed è una bella sensazione.

Ho dormito poco e male per settimane, ho odiato il ritmo imposto da questa città ma mi sono anche resa conto di quanto bastasse una breve passeggiata sui quais semi deserti della Senna per ricredermi.

Quest’ultimo fine settimana mi sono riposata. Ho sbrigato commissioni, fatto una passeggiata al cimitero di Montparnasse, visto persone per una merenda alla moschea, altre per un aperitivo sotto casa mia, altre ancora per una cena e qualche evento della Nuit Blanche parigina sabato.

Domenica mi sono alzata con tutta la calma del mondo e ho programmato una settimana di vacanza pre autunnale. Prima di cena siamo uscite a due (come per molte cose accennate sopra) per approfittare dei brevi sprazzi di azzurro a cui ci eravamo quasi disabituate. Siamo finite in un pub inglese con serata quiz vicino al Pantheon perché la passeggiata è diventata un’occasione per mangiare fuori e io avevo voglia di fish and chips. L’aria era limpida e tersa come dopo le grandi piogge. Per velocizzare il rientro abbiamo preso la bicicletta e in quegli otto minuti di percorso Parigi ha mostrato il suo lato seducente per cui finisci per perdonarle le disparità e i malfunzionamenti.

La città è sempre più militarizzata e il conto alla rovescia alle Olimpiadi sempre più rapido. Io per ora non ho tempo di preoccuparmi: ho due lavori, le vacanze estive, un concerto di Bruce Springsteen, un fine settimana a Bordeaux ad agosto e un inedito passaggio in Sardegna a ottobre che assorbono con molta più energia ed endorfine i miei pensieri.

L’Italia mi manca, mi manca la sua familiarità, mi mancano le relazioni che ho là, mi mancano i suoi sapori, mi mancano i suoi paesaggi, mi mancano le sue distanze. È però vero che a Parigi mi sembra di avere una buona parte di mondo a portata di mano e che molte delle cose che pensavo di voler fare quando abitavo a Firenze, qua le faccio per davvero.

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