Da settembre 2016 a marzo 2017 Sergio Staino è stato direttore de l’Unità. In quanto sua assistente durante quei mesi ho frequentato Roma spesso; da gennaio a marzo, in particolare, generalmente prendevo il treno il martedì mattina da Firenze e rientravo il giovedì sera. Avevo poco tempo libero, fondamentalmente solo la mattina presto (ma dormivo, salvo il paio di volte che sono andata a correre nei giardini di Villa Borghese) e la sera, spesso dopo cena. Però approfittavo come potevo di quegli scampoli di giornata, mi piaceva andare a cena da sola, staccare la testa dalla giornata e scambiare chiacchiere estemporanee con i camerieri ma ancora di più mi piaceva camminare per le strade del centro, che fossi di ritorno dai ristoranti o dalla casa del fratello di Sergio dove avevo cenato. Tutte le sere allungavo di pochi metri per godere della fontana di Trevi, finalmente ridotta alla sua maestosità e al suo rumore d’acqua.
Roma, o forse meglio dire il centro di Roma, è quella città in cui hai l’impressione che chiunque incontri dentro un ristorante non smaccatamente turistico ha qualche sorta di potere o di ruolo in quel che succede fuori. Basta entrare di sera in un’osteria nel ghetto della città e silenziosamente ascoltare. Se scegli bene i tuoi ristoranti capita anche di incontrare facce che conosci senza essere riconosciuta.
“Se l’Europa esisterà ancora fra un anno”.
“I partiti socialdemocratici si radicalizzano sempre di più e si hanno meno possibilità di vincere”.
“Lo ha consigliato il Vaticano”.
“Trump sarà uno tsunami”.
Roma, nel bene e nel male, ti entra sotto pelle.
La città eterna. Eternamente scissa fra decadenza e magnificenza. Eternamente si rigenera nel suo non cambiare mai.
La città rilassata. Pletore di segreti e segretarie che ciondolano per gli uffici.
La città tentacolare. Gli incontri informali, le cene in cui si decidono le sorti del paese.
La città cinquecentesca. Nei corridoi e nelle loro segrete stanze. Complotti e congiure in una città che vive di logiche sue. Le logiche in cui quando si entra, sia pur per caso, si viene avvinghiati dal modus vivendi della città. Tempi e spazi propri del potere. La respiri nell’aria, l’adrenalina del potere. Inquietante e affascinante al tempo stesso.
La città di perdizione. Le cene eleganti e i miti che crollano. Sesso e potere nei palazzi.
La città narcisa che si specchia continuamente nei suoi salotti e nei suoi studi televisivi.
E poi c’è camminare per il centro per tornare in albergo. Piazza del Parlamento, via del Tritone, vedere un’indicazione e decidere per un breve detour nonostante il passo lievemente barcollante ed eccola lì. Prima i suoni rigogliosi, poi gli scenari maestosi. Roma. Tutta la sua narrativa nella silenziosa contemplazione della fontana di Trevi. Dolce vita, Grande Bellezza, Suburra e un mondo altro. Spesso mediocre, spesso autoreferenziale. Ma è quello che conta o crede di contare.
E allora ti siedi sugli scalini e ti fai inghiottire dal suono dell’acqua, inebetita e travolta dall’imponenza e dalla meraviglia dell’arte. Alla lunga potrebbe non bastare, ma almeno per una sera riesce a disegnarti in faccia un sorriso sghembo da portarti a letto.