Poco meno di un mese dopo il nostro arrivo in Africa venne un bizzarro Natale agli occhi di una bambina cresciuta nell’emisfero boreale: faceva caldo e di abeti non v’era nemmeno l’ombra tanto che non facemmo neanche l’albero.
Nei giorni precedenti le festività andammo in una riserva naturale sorta attorno a un casino di caccia nei dintorni di Johannesburg. L’esperienza fu abbastanza deludente perché vedemmo davvero pochi di quegli animali che avrebbero dovuto allietare i nostri occhi europei abituati a vederli in foto o al massimo allo zoo. Inoltre l’atmosfera del casino in cui eravamo alloggiati era lugubre, i tappeti erano ricavati da pelli di animali della savana e tutte le luci erano molto basse. La notte di Natale fummo svegliati da suoni di tamburi in lontananza, la struttura era buia e deserta, un ranocchio attraversò il corridoio. Mezzi addormentati ci interrogammo sulla natura di quei rumori tribali, arrivati da quattro settimane eravamo probabilmente ancora imbevuti di un immaginario per cui quei tamburi tenevano il ritmo a cui sarebbero venuti a prendere questa giovane famigliola sprovveduta. Spavento o non spavento tornammo a dormire perché la mattina dopo volevamo alzarci presto per provare a vedere animali prima di rientrare a Johannesburg. O, nei pensieri di noi bambine, vedere i regali di Babbo Natale prima possibile.
Mia sorella ed io aspettavamo con ansia Babbo Natale temendo che non sarebbe arrivato fin laggiù e infatti non passò. La mattina del 25 dicembre, nella sala del casino, sotto il camino trovammo solo un piccolo vassoio di artigianato locale con dei frutti e animaletti in legno e tanta delusione. “Il Gesù bambino africano è povero e non può portare grandi regali” ci disse nostra madre per provare a farci accettare il Natale più gramo che avessimo vissuto fino ad allora, senza ovviamente migliorare la situazione. Probabilmente fu con un misto di rabbia e tristezza che ci mettemmo in macchina dopo la colazione, rimuginando su Gesù bambino, Natale e il fatto che non avremmo trovato niente neanche a casa perché l’avevamo lasciata senza albero visto che in quel paese dall’altra parte del mondo neanche esistevano gli alberi di Natale.

Quando parcheggiammo la macchina e, percorrendo il vialetto che portava all’ingresso giungemmo all’altezza della camera dei nostri genitori, avemmo la prima, chiara, dimostrazione che i genitori hanno delle risorse magiche che escono dalla comprensione dei figli: attaccata alla grande finestra della stanza c’era la sagoma di un albero ritagliato nella carta crespa e ai suoi piedi degli insperati e inaspettati regali. Ricordo lo stupore, l’eccitazione, la sensazione che niente fosse perduto che pervase i miei nemmeno 8 anni e la sensazione che ci fosse qualcosa di inspiegabile e affascinante in quell’evento.
Gesù bambino era povero ma Babbo Natale ci aveva trovate anche all’altro capo del mondo.