Io, il 2020, lo avevo accolto con insolito slancio, sembrava così carico di aspettative e speranze. Nonostante (o forse proprio perché) il 31 dicembre del 2019 mangiai poco, bevvi meno e brindai gioiosamente con una tisana post influenzale in compagnia ristretta. Vidi in quella grossa influenza presa a circa 15 anni (se non di più) dall’ultima e nella sua guarigione una sorta di guarigione da me stessa e dalle cose che mi stavano tenendo ferma. Poi è cascato a pezzi il mondo come lo conoscevamo. A me poteva andare meglio ma poteva andare anche tanto tanto peggio. Dopo tutto, togliendo la depressione (che c’è stata), la mancanza di senso (che c’è stata), la solitudine (che c’è stata), la paura (che c’è stata), l’ansia (che c’è stata), la nostalgia lancinante (che c’è stata) mi sono presa una cosa che negli anni mi era mancata sempre di più: il tempo per le cose che mi piace fare. Ho suonato, ho cantato, ho letto, ho scritto, ho camminato, ho viaggiato. Sono stata anche felice in questo 2020 e se non felice soddisfatta. Ho perso un po’ di remore, ho smesso di tenere per me le cose che pensavo e ho iniziato a sottoporle al giudizio altrui. Quindi per quanto riguarda me e soltanto me e la mia crescita personale, non mi sento di buttare l’anno nella cesta degli anni peggiori di sempre. E soprattutto, nessuno mi toglierà la gioia, una volta tanto di non dover rispondere al “a Capodanno che fai?”.

Di seguito la playlist del 2020 e un piccolo divertissement con sintesi dell’anno a partire dalle canzoni che lo hanno segnato e che per ora riportano sensazioni e atmosfere del 2020. Per alcuni mesi ho dovuto operare delle scelte e alcuni artisti sarebbero comparsi in più fasi dell’anno ma queste sono le canzoni, una per mese, del mio 2020. Poi ci sarebbero anche le mie di canzoni che ho ascoltato spesso e a lungo e forse più di qualunque altra canzone ma sono un’altra storia.

Il 2020 si mostrava rilassato, profondo ed elegante, serenamente me, myself and I aperta al me, myself and you, leggendo libri sul divano e con l’occhio su orizzonti nuovi e fuori dallo stagno. Addirittura febbraio pareva carico di luce coi suoi giorni di sole, smalto e pelliccia. Poi il mondo che inizia a cambiare, l’inizio della psicosi quando chi portava la mascherina pareva una paranoico senza speranza. La macchina presa non per andare alla partita ma per andare in un parco a correre il giorno prima che si annunciasse la chiusura dopo la quale iniziammo a chiederci quando avremmo potuto ancora fare qualcosa. Per i mesi successivi avrei avuto bisogno di una voce interiore che mi spronava a lavorare, bitch, per non mollare. Poi la fuga pasquale dai genitori, credere di poter essere ancora felice in mezzo al verde e a una famiglia numerosa che si incontrava in piazzale per condividere torte e paure, cercando di tenersi al sicuro dai danni. Ma se uno a un certo punto va via di casa è perché ha bisogno della sua autonomia, di non vedere quotidianamente i genitori che invecchiano e se stesso che cresce ricordandosi come fosse bello quando aveva tutto il futuro davanti. Eppure se l’umanità continua a rinnovarsi da millenni è perché, in fondo, nonostante tutto, la vita sa essere meravigliosa, anche nel 2020 coi suoi abbracci rubati, i suoi colori nuovi e la gioia ritrovata nelle piccole cose. E però la casa dei genitori dove ci si addormenta cullati dai grilli e ci si sveglia tra il cinguettio degli uccelli è una bolla in cui il futuro non sta né dietro né davanti e quando suonano le campane è bene tornare in città e tornare il più possibile alla propria vita e a credere che col tempo sarebbe stato possibile riprendere la propria vita in mano, coi propri tempi, i propri spazi. Sembrava possibile fino a che un cielo di acciaio ha cominciato a coprire di nuovo il celeste, a tornare da dove si era venuti che a volte è comodo ma, come dire, poca soddisfazione nella gestione del tempo. E ora? Un voodoo, un vaccino, un qualcosa per tornare fuori dalla bolla, please!

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