Riallacciandomi alla recensione di Long walk to freedom, autobiografia di Nelson Mandela di cui ho scritto mercoledì, racconto qualcosa dello storico evento delle prime elezioni libere nella storia del Sudafrica.
Pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, in Sudafrica si istituzionalizzò un sistema di segregazione su base razziale in cui una minoranza bianca (che ai tempi si assestava intorno al 20% della popolazione) dominava su una maggioranza composta da, in ordine di status discendente, asiatici (principalmente indiani), coloureds (misti) e neri. Questo sistema, noto come “apartheid”, durò fino ai primi anni ’90. Il leader storico dei movimenti anti-apartheid, Nelson Mandela, fu arrestato e incarcerato nel 1962 con una sentenza a vita. Alla fine degli anni ’80 il partito nazionalista iniziò delle negoziazioni con l’allora illegale ANC di Mandela al termine delle quali l’11 febbraio del 1990 Mandela fu liberato dopo 27 anni di carcere.
Dopo anni di negoziazioni tra i vari partiti, quelli che l’apartheid l’avevano perpetrata e quelli che l’avevano subita, e un paese sull’orlo della guerra civile, fu indicata una data per le prime elezioni a suffragio universale in Sudafrica.
Il 27 aprile del 1994 milioni di persone che non avevano mai potuto votare si recarono ordinatamente alle urne, avevo da poco compiuto 8 anni ma il fermento era tangibile. L’evento della mia infanzia che più mi aveva impaurito era stato lo scoppio della bomba in via dei Georgofili a Firenze nel maggio del 1993, ricordo bene la sensazione di paura e attrazione per quel luogo che mi pervase una sera in cui coi miei genitori andammo in centro a Firenze. Quel misto di paura e attrazione si ripresentarono quando poco dopo le elezioni andammo ad accogliere qualcuno all’aeroporto di Johannesburg e vedemmo quel che restava della bomba che era stata fatta brillare nei giorni delle elezioni. Di quei mesi pre elettorali ricordo anche vagamente le immagini alla tv di folle disordinate e violente ma nella mia esperienza quotidiana erano lontane. A me era più vicina la gioia del voto.
Per contratto mio padre non poteva esporsi politicamente in maniera aperta ma questo non vietava né a mia madre di fare attacchinaggio di manifesti elettorali pro Nelson Mandela né a noi tutti di andare a più eventi organizzati dall’ANC in vari parchi più o meno piccoli di Johannesburg. Di quegli eventi ricordo il sentimento di gioia e leggerezza che sprigionavano queste folle con le loro spille e foulard coi colori dell’ANC (giallo, verde e nero). Se non c’era un concerto organizzato, ci pensavano loro con i loro canti e le loro radio: le accendevano ed era subito una festa, era impossibile non farsi trascinare da quei sederi danzanti grandi quanto i sorrisi dei loro proprietari.

Ricordo bene l’orgoglio che provavo alla consapevolezza che mio padre fosse uno dei tanti osservatori elettorali internazionali. E ricordo bene anche la delusione quando, nonostante avesse partecipato alle riunioni organizzative pre elettorali, ci comunicò che il giorno delle elezioni non si sarebbe recato ai seggi per controllare. Ci avevano appena rubato la macchina e sarebbe stato più complicato organizzarsi per raggiungere i seggi da controllare che controllare l’andamento delle operazioni elettorali. Nonostante le tensioni dei mesi precedenti infatti, le elezioni si tennero in modo ordinato e senza pericolo di brogli. Tra le immagini che più mi sono rimaste impresse ci sono quelle dei serpentoni di persone ordinatamente in fila per votare per la prima volta.
Le elezioni furono storiche, così come fu storico il risultato. Vinse l’African National Congress di Nelson Mandela con il 62% dei voti.
Vinte le elezioni un compito immane si presentava a Mandela: tenere unita una nazione che aveva vissuto violentemente separata per gli ultimi cinquant’anni.
