Quando un giorno di inizio prima superiore la psicologa della scuola ci chiese di fare un collage per descriverci tramite immagini, tra i vari ritagli di riviste che scelsi c’era un’immagine di una conturbante Shirley Manson. Fin da quando un paio di anni prima su MTV avevo visto il vagamente disturbante video di Push it, primo singolo del secondo album dei Garbage, ero stata sedotta dalla voce di Shirley Manson. Da quel che ne leggevo sulle riviste musicali dell’epoca poi non era solo la sua voce a sedurmi. Decisi di approfondire l’argomento facendomi prestare Version 2.0 da una compagna di classe e comprandomi, appena possibile, il precedente album chiamato come il gruppo, Garbage appunto, pubblicato nel 1995.

Sensuale, provocatoria, dolente, lucida, sincera, con la sua voce di contralto (ho realizzato nel tempo che non è irrilevante, le mie voci femminili preferite riescono tutte a prendere note piuttosto basse) nei testi Shirley Manson metteva tutta se stessa. Dai brani più lenti a quelli più rock la sensazione che traspariva era quella di aver a che fare con gli angoli più reconditi della cantante. La forza di quelle canzoni stava nel fatto che credevi a ogni singola parola cantata, la voce non mentiva e non nascondeva niente, non giudicava niente, erano pensieri e tormenti (peraltro condivisibili) messi in musica. Una musica fatta di tanti strati, da quelli più canonici fino ad arrivare a campionamenti ed elementi di elettronica. A volte ti invitava a saltare, a volte a farti cullare, sempre a cantare.

Nel 2016 i Garbage hanno suonato a Firenze, sono andata a sentirli, questo è quel che scrissi: I can’t use what I can’t abuse. Duemila, quattordici anni di disordine e ossessioni. Una era Shirley Manson. Oggi come allora, averne 30 e sentirsene la metà ad ogni pezzo di adolescenza in musica.

Consigliato per i nostalgici del rock anni ’90 anche se mi sembra impossibile avere nostalgia degli anni ’90 senza conoscere questo album.

Canzoni preferite: Queer, Only happy when it rains, Vow, Milk, Stupid girl

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