Johannesburg, per gli amici Jo’burg, per le popolazioni Zulu e Xhosa eGoli (città dell’oro) per Eddy Grant Jo’anna a cui chiedeva speranza, era una metropoli che nella sua area metropolitana contava circa due milioni di abitanti.
La città si trovava su un altipiano a circa 1700 metri sul livello del mare, il clima era mite in inverno (in casa non avevamo termosifoni, solo stufe elettriche) e piovoso ma senza afa in estate. La città non presentava dislivelli come quelli di San Francisco ma nel suo piccolo capitava di doversi muovere in salita o in discesa per raggiungere i luoghi. Di tanto in tanto spuntavano delle colline visibilmente artificiali formate dai detriti degli scavi minerari. Il colore predominante era il giallo ocra del veld, intervallato dal verde dei giardini e dal lilla delle jacarande. In contrasto a più o meno ogni storia che si è sempre saputa sul dove venivano fondate le città, a Johannesburg non c’era acqua, l’unico fiume che scorreva era quello dell’oro.
Il quartiere in cui abitavamo noi, Kensington, era un quartiere residenziale in una zona generalmente multietnica della città. Vivevamo quasi in cima al dislivello ma per raggiungere il supermercato più vicino dovevamo fare poche centinaia di metri in salita per raggiungere la Spar di Roberts Avenue. In discesa, oltre alle case delle mie amiche Jenny, Susan e Carolien, si trovava un grosso viale su cui si affacciava un ferramenta di cui ho ricordo sostanzialmente perché era gestito da italiani. Sempre in discesa andavamo per raggiungere Ellis Park e la sua piscina olimpionica.

Roberts Avenue era la grande direttrice della mia vita sudafricana: c’era la mia scuola, c’era il supermercato, proseguendo verso est c’era Rhodes Park. Il parco si trovava a distanza di cammino ma generalmente con mia mamma andavamo con i cosiddetti combi, dei pulmini che facevano un servizio a metà tra il taxi e il bus usati principalmente dalla comunità africana. In pratica ci si metteva sul ciglio della strada e si facevano dei cenni quando si vedeva arrivare il pulmino. Se c’era posto a bordo si fermava e l’autista ti lasciava dove chiedevi tu, come un taxi, pagando una tariffa proporzionata al tragitto. Non so se fosse così specifico nella fermata, di fatto noi lo usavamo per poche centinaia di metri lungo una direttrice, pertanto ci lasciava esattamente dove richiedevamo. Un’altra caratteristica dei combi è che la guida degli autisti era tutt’altro che compassata.
Rhodes Park era uno di quei parchi molto inglesi, verdi, con un laghetto, dei giochi per bambini, dei campi da tennis e una piscina. I campi da tennis e la piscina erano a pagamento ma tutto il resto era aperto ed è stato da noi frequentato in molteplici occasioni.

Quando percorrevamo Roberts Avenue in macchina, invece, con una sola ulteriore svolta oltre alla naturale curvatura della strada in dirittura di arrivo, si giungeva a Eastgate ossia il paradiso del bambino consumista.
(continua la prossima settimana)