Sono arrivata a Chimamanda Ngozi Adichie attraverso i consigli di chi qualche anno fa mi consigliava il suo “Metà di un sole giallo” e ne rimasi folgorata. Un romanzo capace di appassionare, di istruire ma soprattutto aprire la mente a riflessioni che esulano dalla trama stretta. Poi su Youtube ho visto qualche intervista e ho sentito un paio di suoi Ted Talk e mi sono innamorata anche di lei, del suo accento, della sua eleganza, della sua pacatezza e semplicità nell’esporre. Quindi mi sono dedicata alla lettura di due suoi brevi pamphlet dedicati al femminismo: “Cara Ijeawele: quindici consigli per crescere una bambina femminista” e “Dovremmo essere tutti femministi”.

In una delle premesse esposte all’inizio della lettera scritta all’amica Ijeawele, l’autrice le chiede di pensare a un qualunque fatto e di immaginarlo invertendo i soggetti. Se la stessa azione la compisse un uomo o una donna, che giudizio ne darebbe la società? E così via, la Adichie, tramite esempi dal mondo reale, costringe il/la lettore/rice a riflettere sull’ingiustizia dei ruoli attribuiti in quanto uomo o donna. Si potrebbe obiettare che la sua esperienza nigeriana è diversa da quella cosiddetta occidentale ma basta addentrarsi nella lettura per capire che gli esempi sono perfettamente attinenti anche a società più vicine alla nostra.

In fondo il femminismo si applica attraverso piccoli atti quotidiani in cui anche gli uomini hanno importanza perché essere femminista non significa odiare gli uomini, essere femminista significa volere parità fra uomini e donne, sono due cose radicalmente diverse e molto più utili alla convivenza. Ma i due pamphlet sono talmente essenziali e allo stesso tempo pieni di significato che si fa prima a leggerli che a scriverne.

Sono due riflessioni sui ruoli, su quanto l’ambiente che ci circondi finisca per permeare fortemente i nostri comportamenti e su cosa possiamo fare per uscire da quella gabbia.

Consigliato per chi crede che femminismo e femminilità non si escludono e vuole leggerne con una prosa chiara, ironica, profonda e soprattutto senza astiosamente puntare il dito contro.

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