Era da un po’ che non mi capitava di attendere con curiosità l’uscita di un nuovo album, quest’anno invece il 30 aprile, al primo momento utile mi sono ascoltata Semplice di Motta. Avevo amato il suo esordio (La fine dei vent’anni), forse perché lo avevo scoperto proprio alla fine dei miei vent’anni ma il seguito (Vivere o morire) mi era parso un po’ troppo simile, ero quindi molto curiosa di sentire cosa avrebbe proposto con la sua terza uscita.

Semplice parte con A te, un brano che pare un plagio di Heroin dei Velvet Underground finché non comincia l’orchestrazione che dà il primo grande indizio di questo nuovo album: la maggiore elaborazione degli arrangiamenti. Gli arpeggi di chitarra e i cambi di voce tipici di Motta sono ancora presenti ma in questo nuovo lavoro sono inseriti in un contesto più ampio, fatto di aperture melodiche e arrangiamenti più elaborati, con echi della musica italiana anni ’60 però calati in uno stile che è ormai proprio di Motta. E poi finisco per amarti poi affida tutta la sua carica quasi brutale a un violoncello, Quando guardiamo una rosa conclude l’album con un ritmo tribale elettronico, nel mezzo canzoni, canzoni canzoni che vanno a formare un album che mantiene i tratti tipici di Motta ma li elabora, li fa crescere e li trasforma.

Consigliato per chi pensa che nelle canzoni non bastino solo le parole.

Brani preferiti: A te, E poi finisco per amarti, ma confesso che essendo appena uscito ho avuto poco modo di separare le canzoni dall’album, il che non è necessariamente un male, significa che vale l’ascolto del totale

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