In quarta e quinta elementare la Jeppe Prep previde delle gite scolastiche di più giorni nei dintorni di Johannesburg.

I contorni di quelle esperienze sono sempre più sfumati nella mia memoria, ho più in mente sprazzi di quei giorni, fermo immagini e in realtà la sicurezza più certa che ho è che mi sentissi un po’ fuori dai gruppi delle bambine con cui mi trovai a dormire in stanza, dopotutto la mia indole lenta e riflessiva nei rapporti umani viene da lontano. Ancora più terribile ai miei occhi però fu che durante la gita in quinta elementare una delle bambine in camera con me era particolarmente divertente, al punto che mi feci pure la pipì addosso dal ridere vergognandomene tantissimo. Tutto ciò nonostante dentro di me mi struggessi profondamente perché io non ero in grado di catalizzare l’attenzione quanto lei. Ma al di là di piccoli disagi e invidie infantili le due gite con pernotto che feci con la scuola furono all’insegna dell’avventura.

In quarta elementare andammo ad Happy Acres, una struttura specializzata in campi educativi per bambini a circa un’ora da Johannesburg. Si dormiva in dormitori e dei tre giorni trascorsi lì ricordo che avevamo un quadernino con domande legate ad attività da svolgere principalmente in mezzo alla natura. Ho ricordi molto vaghi di dover lavorare in gruppi e di dover riconoscere insetti, animali e piante varie. L’unico ricordo certo che ho riguarda che una mattina fummo divisi in gruppi e armati di barattoli di vetro dovemmo andare a cercare i tre tipi di scorpioni che si trovavano in quella zona. La particolarità è che una delle tre specie era velenosa. Non so se fu durante la gita a Happy Acres che fummo portati anche in una vecchia fattoria in cui ci fecero vedere come si produceva il burro prima dell’avvento della tecnologia ma soprattutto ci mostrarono delle immagini al microscopio di cosa si annidasse nelle nostre mani se non le lavavamo, fatto sta che quella foto in bianco e nero ancora mi ritorna in mente di tanto in tanto, come un monito che da ben prima del covid mi ricordasse incessantemente di lavarmi le mani.

L’anno dopo invece andammo per tre giorni nella riserva naturale di Pilanesberg, a nord-ovest di Johannesburg, quasi più vicina al confine col Botswana che con la capitale finanziaria del Sudafrica. Pilanesberg sorgeva su quel che restava di un vulcano imploso chissà quanti anni fa come attestava la sua forma circolare. In compagnia di un ranger ci muovevamo su un bus in mezzo alle strade della riserva alla ricerca di animali da osservare. Anche in questo caso i ricordi sono vaghi, la guida che ci invita a osservare una grossa cacca di elefante da cui si evince che gli elefanti sono erbivori, qualche nozione rimasta poi in sospeso sulle cariche di elefanti, sospensione che potrebbe anche essere stata dovuta al fatto che un elefante che avevamo incrociato sembrava si stesse indispettendo (in linea di massima comunque il consiglio è di operare una non troppo brusca retromarcia). Ma ahimè, i 25 anni trascorsi hanno annebbiato la mia memoria.

Il ricordo più nitido che ho ha i colori di una notte stellata nel campo base dove dormivamo. Nel buio del veld la guida ci invitò ad alzare gli occhi al cielo, l’aria era tersa e sopra di noi la Croce del Sud si apriva in tutta la sua maestosa immensità. Ecco, se devo pensare al concetto di immensità penso a quel momento lì.

Questa sono io nel 1998 (ahi i 12 anni che età ingrata) quando tornai per l’ultima volta in Sudafrica. Non ero ovviamente con la scuola ma ero a Pilanesberg in uno dei vari casottini in legno raggiungibili lasciando la macchina e facendo un percorso protetto a piedi.

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