Premessa: ovviamente vale per ogni lettera della sigla LGBTQIA+
Dall’alto della mia torre d’avorio con genitori che vanno ai gay pride “perché sono i nostri figli, se non manifestiamo noi, chi deve farlo?” mi autocito in occasione della giornata mondiale contro l’omofobia.
Essere gay significa che alla fine della giornata vuoi una casa, un lavoro decente, magari qualcuno che ti aspetta, un abbraccio, un sorriso, qualcosa che dia un senso alla fatica, alle giornate storte, ai soldi che non sempre ci sono, ai problemi. Ti piace uscire con gli amici, giocare coi bambini (ma magari anche no), ami gli animali (ma magari anche no), a volte ti piace lo sport a volte no, preferisci il mare oppure la montagna; vai a concerti, mostre, musei, ristoranti, supermercati, spiagge, mercati, ospedali, autofficine, farmacie, giardini, negozi, parrucchieri, outlet, sale giochi, discoteche, bar ma magari stai anche spiaggiato sul divano. Viaggi, lavori, paghi le tasse (ma magari anche no), i contributi (ma magari anche no), i pedaggi in autostrada, le prestazioni sanitarie; puoi essere gentile, educato/a, arrogante, antipatico/a, socievole, timido/a; amante dei tacchi, dello smalto, delle cravatte, dei papillon, dei leggings, delle collane, delle canottiere da muratore, elegante, tamarro/a, chic, straccione/a, etc etc etc.
E quindi, per quanto possa sembrare assurdo, in realtà essere gay è essere esattamente come chiunque altro! Insomma, non è una questione ideologica, è una cosa che capita, come avere gli occhi azzurri, i capelli crespi, l’alluce valgo. Ci sono persone che trovano il loro tassello mancante in una persona dello stesso sesso e altre che lo trovano in una del sesso opposto. Ma non lo decidono, capita e basta, e può essere bellissimo (o terribile) in entrambi i casi. Perché quel che ci qualifica come persone non è con chi decidiamo di condividere quel terreno a volte spaventoso che è l’intimità e come lo esterniamo, bensì quello che siamo e pensiamo.