Per contratto mio padre disponeva di un rientro in Italia con la famiglia ogni anno. A fine novembre/inizio dicembre del 1996 mio padre venne in camera mia e di mia sorella e ci disse di scegliere tra due ipotesi: tornare in Italia in vacanza per Natale e Capodanno rinunciando al rientro dell’estate successiva, o aspettare direttamente le vacanze di agosto del 1997 per rivedere la famiglia. Marta ed io avevamo rispettivamente quasi 7 e 11 anni e una famiglia molto numerosa in Italia, la prospettiva di ricevere regali anche dalla famiglia oltre che da Babbo Natale fu decisamente più allettante di quella che prevedeva tuffi agostani nel mare di Stintino. E questo forse soprattutto perché avevo appena scoperto che Babbo Natale non esisteva e che quindi era importante aumentare le fonti di regali.
Ai primi di dicembre io finii la quinta elementare, mia sorella la prima. Il 19 dicembre del 1996 salimmo su un volo Austrian Airlines per Vienna. Da Vienna poi prendemmo un aereo della Tyrolean Airways che ci depositò a Firenze con la notizia su tutti i giornali a bordo che il giorno prima era morto Marcello Mastroianni. Prima di partire non avevamo fatto il biglietto di ritorno ma stavamo organizzando una vacanza con Mimi, Ferdi e le loro figlie Susan e Carolien per febbraio. Venne il Natale, venne l’influenza, venne la scoperta del microonde, venne il capodanno a Sassari con mio nonno che piangeva quando salutammo perché non era sicuro che ci avrebbe più rivisti (ci rivide brevemente in estate, poi morì a dicembre) ma non venivano notizie sul rientro in Sudafrica. Non credo fossimo particolarmente preoccupate, rientrare in Sudafrica avrebbe significato l’inizio di un nuovo anno scolastico, però la situazione di sospensione non era particolarmente gradevole. In attesa di novità, nel dubbio a metà gennaio i miei genitori ci iscrissero a scuola a Scandicci, io nella classe che avevo lasciato tre anni prima, mia sorella in una nuova prima elementare. Andò a finire che scoprii parole e concetti nuovi come paradigma, coniugazione verbi, Re Sole e altri. Mentre in pochi mesi recuperavo i la grammatica italiana e la storia perduti, mio padre tornò a Johannesburg con un altro contratto e con il compito di impacchettare tutte le nostre cose e spedirle negli stessi bauli (più altri nuovi) in cui le avevamo mandate al sud tre anni prima. A giugno del 1997 feci l’esame di quinta elementare, poi mi iscrissi alle medie, alle superiori e ricominciai un’altra vita nuova in Italia e, benché ritrovai le stesse persone che avevo lasciato tre anni prima, erano cambiate un sacco di cose nel frattempo. Ero partita che giocavo solo coi maschi, in Sudafrica invece avevo avuto solo amiche femmine. Ascoltavo solo Bruce Springsteen, in classe tra le bambine pareva andassero forte i Ragazzi Italiani. Ero molto competitiva sul piano scolastico ma ero rimasta un po’ indietro. Infine non capivo assolutamente questa usanza di andare in bagno e chiudervisi in tre alla volta, provai ad adeguarmi qualche volta per non sentirmi esclusa ma devo dire che non mi piacque affatto l’esperienza e per lunghi anni ho preferito mantenere la mia intimità al gabinetto.

Tornai in Sudafrica soltanto l’anno dopo, nel 1998, per un mese di vacanza mentre mio padre era lì con due contratti semestrali e per salutare tutto quel che avevo lasciato laggiù per una vacanza senza sapere che lo avrei salutato per sempre.

Nei tre anni a Johannesburg ho viaggiato, ho scoperto cose nuove, ho visto altri mondi e altri punti di vista, diversi dai miei ma non per questo migliori o peggiori. Ho preso quel che mi piaceva di quel paese e ho lasciato quel che invece mi interessava meno, ho mescolato la mia cultura di partenza con quella locale, ho imparato il valore delle radici e la ricchezza dei rami diversi che da quelle radici si possono dipartire. Ho imparato che non c’è un solo modo per stare al mondo ma che il migliore dei modi è quello di non voler prevaricare su nessuno e condividere il tempo e lo spazio anche con chi è apparentemente diverso da noi. Ho imparato che tutto ciò che non conosciamo fa paura all’inizio ma poi, con la reciproca conoscenza, ci può insegnare cose che non sapevamo ci potessero piacere.

Qualche mese fa ho letto un libro sugli approcci che culture diverse hanno a vari aspetti della vita e del lavoro e ho realizzato quanto l’impatto anglosassone sia stato intenso su di me. Non solo perché mi sento in dovere di avvisare se penso di arrivare con due minuti di ritardo, se mi profondo in continui ringraziamenti e “sì, grazie, no grazie” (in Sudafrica era tutto un “yes, please”, “no, thank you” e mai andare via da casa degli amici senza dire “thank you for having me”), ma anche perché ho sviluppato una capacità di comprendere lo humor inglese e soprattutto il corretto utilizzo della parola inglese indeed.
Ho imparato tutte queste cose perché le ho vissute, quotidianamente, con la spensieratezza di una bambina che è arrivata diversa ma che una volta avuta l’opportunità di mettersi in pari con la lingua, non si è mai sentita ospite e ha amato profondamente quel paese dall’altro capo del mondo in cui non voleva andare all’inizio. Perché poi uno se ne ha la possibilità i suoi legami e la sua quotidianità se li crea anche in un posto che non è casa.
Magari una parte dell’affetto che nutro nei confronti di questo paese immenso e variegato è legato anche al fatto che sono stati gli unici tre anni della mia vita in cui non ho sofferto la precarietà economica, fatto sta che li considero tre anni che hanno lasciato un’impronta indelebile e anche un po’ nostalgica nella donna che sono diventata una volta rientrata in Italia. E forse è anche per questo legame inscindibile tra passato e presente, per questo incipit nella vita, che sulla punta della lingua ho sempre qualcosa da dire di quando ero in Africa.
“Quando ero in Africa…” finisce qui. Sono stati sette mesi intensi, un po’ nostalgici e con anche qualche sprazzo di commozione in cui credo di aver dato fondo a ogni ricordo che ancora avessi del periodo tra la fine del 1993 e la fine del 1996. Non ho raccontato tutto, qualcosa ho dimenticato, qualcosa ho scelto di non raccontare perché non mi sembrava così interessante. Però se ci sono ulteriori curiosità o domande sarò felice di rispondere.
Grazie per avermi letto fin qua, soprattutto quella manciata di fedeli che mi hanno spesso spinta a continuare.

Ciao, Volevo ringraziarti per aver condiviso tanti interessanti racconti di vita. Penso che sia sempre positivo avere delle opportunità di allargare il proprio orizzonte e guardare anche un po più in là del proprio orticello; i tuoi racconti hanno impreziosito il mio tempo nel leggerli in questi mesi e perciò, giunti al termine, grazie di tutto. Un caro saluto e buon cammino sui sentieri della terra e della vita. Pasquale
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Grazie a te di avermi letto Pasquale! E sono d’accordo con te, fuori dall’orto c’è tutto un altro mondo
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Io vorrei sapere se sei riuscita con il tempo a mantenere una certa relazione con qualche amica del quartiere o della scuola. E se un giorno non vorresti tornare. Sicuramente sarebbe un viaggio per fare affiorare altri ricordi.
Mi ha fatto molto piacere leggere questa esperienza, grazie!
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Ahimè no. Ho avuto qualche sporadico contatto epistolare con Susan e Carolien quando ero ancora ragazzina. Ci siamo ricollegate tramite Facebook successivamente ma ormai era passato talmente tanto tempo che non sapevamo più bene cosa dirci. Mio padre è stato a Johannesburg un paio di anni fa e ha visto i loro genitori però. Con Jasmin più niente, le ho scritto qualche mese fa ma non mi ha risposto, potrebbe non aver neanche ricevuto la mail. Mi piacerebbe molto tornare, con tutta la paura di chi torna in un luogo felice e lo trova cambiato, non necessariamente in meglio. Grazie a te di avermi letta!
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