Ieri, dopo essermi riposata un po’, sono uscita. Mi sono diretta oltre il quartiere di Plaka e ho scoperto che c’era tutto un altro mondo di piazze e strade piene di bar e ristoranti. E anche qualche artista di strada.
Permane la sensazione di trovarmi in una città molto vivace e sopraggiunge quella di essermi persa qualcosa della capitale della Grecia. Poi penso che in un giorno e mezzo di più non potevo vedere e che ho fatto altre scelte. Realizzo che in questa esplorazione mi sono molto avvicinata a uno dei ristoranti consigliati da un amico ateniese di mia sorella. È in una piazzetta animata ma meno di quelle che l’hanno preceduta. Il bar dirimpetto è ancora pressoché vuoto ma la musica copre la colonna sonora di elettronica poco invadente scelta dal ristorante. Non sono ancora le 20 e se libero il tavolo per le 21 posso sedermi. Il ristorante serve piatti di cucina greca rivisitati e un po’ a caso ordino un antipasto a base di formaggio piccante e chutney di ciliegie e delle croquette ripiene di formaggio. Il tutto anticipato da delle ottime olive verdi e bagnato da un bicchiere di bianco. Quando mi alzo il mio corpo mi invita a tornare verso l’ostello sperando di approfittare del bagno nella stanza deserta. Ebbene, quando arrivo sono da poco passate le 9 e a parte una neo arrivata che esce nel giro di cinque minuti, le mie compagne di stanza sono tutte lì. Probabilmente anche loro con una sveglia mattutina, penso.
Io ho talmente paura di non sentire le tre sveglie che ho messo che non chiudo quasi occhio. Alle 5.10 mi alzo anche se ho fissato il taxi per le 6 (ebbene sì, dopo la disavventura di Vergina non ho avuto voglia di rischiare un bus notturno che mi avrebbe portato in un mondo oscuro in cui il rischio di perdere la fermata sarebbe stato alto).
La strada per il Pireo (ancora la storia che torna) è breve e non è tanto diversa da quella di una qualsiasi grossa periferia. Mi è sembrata uguale a Valencia, simile a Berlino.
Il biglietto per il traghetto va ritirato al chiosco della compagnia al cancello E9 da cui parte il mio traghetto. Ogni destinazione ha il suo cancello ed è bene non sbagliare perché potrebbe volerci molto per arrivare da uno all’altro.
Il porto è enorme, nel buio che precede l’alba si incrociano auto e passeggeri a piedi in un caos organizzato in cui nessuno sembra a disagio.
Vengono controllati biglietti, auto dichiarazioni sullo stato di salute legato al Covid (vorrei sapere perché tra le cose da indicare c’è anche il nome del proprio padre) e green pass, poi si sale a bordo.

Al bar la prima amara sorpresa: non esistono croissant dolci, solo pite ripiene di formaggio oppure fette di torta imbustate industrialmente. Mi rassegno all’ennesima scarica di latticini e con la mia pita con formaggio e prosciutto e una tazza di tè mi metto su una panchina esterna ad aspettare la partenza.
La nave è abbastanza spartana, ci sono un bar esterno a poppa e uno interno. Delle poltrone che si prenotano e sui ponti esterni oltre alle sedie fisse, ci sono anche vari tipi di sedie da giardino incolonnate a più angoli che si possono utilizzare e spostare a piacimento all’esterno.
Quando partiamo il sole è appena spuntato da dietro i rilievi dell’Attica e ce lo lasciamo alle spalle mentre la navigazione comincia in direzione Cicladi.
Poco dopo la partenza vado verso la mia poltrona per riposare un po’, quando decido che ne ho abbastanza della mascherina esco e inizia la battaglia: cosa mi dà più fastidio, la mascherina o il vento che mi sottopone a continui schiaffeggiamenti da parte dei capelli?
Ora che scrivo stiamo costeggiando Serifos, prima fermata del traghetto (e a me questa cosa dei traghetti che sono come dei treni mi fa impazzire e vorrei sapere come viene organizzato l’imbarco delle auto a seconda della fermata a cui scendono) e sono fuori da circa un’ora ma non so quanto riuscirò ancora a stare.
L’isola è in pratica una grossa roccia brulla sulla quale spuntano minuscole casupole bianche. Durante le procedure di sbarco noto su alcune macchine un pezzo di nastro adesivo con sopra una scritta in greco che potrebbe corrispondere a Sikinos. Prima ancora di ripartire torno alla mia poltrona per mangiare qualche biscotto e riaddormentarmi. Dopo poco meno di un’ora di navigazione sento l’annuncio dell’imminente attracco a Sifnos. Un’altra roccia spuntata dal mare ma ricoperta di cespugli verdi. Qui le operazioni durano di meno. A bordo salgono 6 auto, 8 moto e poche persone. Chi deve andare ad Atene aspetta il traghetto della sera, quando la Dionisios Solomos tocca nuovamente alcune delle isole su cui si è fermata in andata.
Rispetto al mattino la nave si è sensibilmente svuotata, così come il vento, che forse soffia ugualmente a giudicare dalle increspature bianche sull’acqua, però a questo punto del viaggio lo abbiamo in poppa mentre la rotta riprende verso il prossimo porto, il mio.
Il porto di Sikinos è affollato di passeggeri in attesa di imbarco tra cui una delle mie tante cugine con cui ci diamo il cambio. I suoi genitori, nonché miei zii, qualche anno fa stavano andando a Folegandros in vacanza. Si attardarono a scendere dal traghetto e lo fecero all’isola successiva, Sikinos. Tornarono a Firenze dopo aver visto un paio di case tanto per. L’anno dopo presentarono un’offerta per una casa a Kastro, il centro principale dell’isola arroccato a circa 300 metri sul mare e si trovarono proprietari a Sikinos. Nel corso degli anni hanno comprato e ristrutturato varie altre casupole nello stesso angolo di paese al punto che ormai viene chiamato Little Italy.

I chora erano i centri all’interno delle isole in cui si rifugiavano le popolazioni locali per sfuggire alle incursioni dei pirati. Qui la Chora è divisa in due parti: Kastro, la parte veneziana dove stiamo noi, e Chorio, la parte greca di fronte.
Sikinos è quel che ci si aspetta da un’isola delle Cicladi: coste scoscese, sfumature di verde bruciato e casupole bianche e blu. Mi colpiscono i terrazzamenti, innumerevoli. Mio cugino mi dice che un tempo erano fertili e che Sikinos era una delle Cicladi più ricche, poi per l’incuria si è impoverita.
Il sole picchia forte ma il meltemi, il forte vento del nord, solleva anche la sabbia della spiaggia al porto. Mio cugino è venuto a prendermi in macchina e ci inerpichiamo fino a Kastro. Gli zii mi mostrano il mio piccolo appartamento appena ristrutturato, la “cicladica”: una stanza lunga e un piccolo bagno, con lavandino e angolo cottura. Infine mi siedo per un pranzo locale: pomodoro, feta e olive, l’unico pranzo che desideravo. E pensare che fino al mio viaggio a Creta manco le mangiavo le olive.

Il pomeriggio prosegue in chiacchiere e sguardi dall’alto di Kastro prima di scendere al porto per un tuffo rigenerante in una pozza d’acqua limpida e fresca.

Una doccia e fare giusto in tempo a vedere il sole che scende dietro una Ciclade che non saprei identificare.

Il tempo di una cena dai sapori diversi, caponata, nigiri (una delle ospiti degli zii è giapponese), caponata, torte salate, insalata russa con mayonnaise fatta in casa. Questa prima mezza giornata a Sikinos sembra un compendio di vita da godere e ha ancora la sua coda in paese da vivere con il fischio del meltemi che straripa in mezzo ai vicoli di questa isoletta che ancora (e mi auguro mai sarà) non è stata fagocitata dal turismo di massa.
