Dopo il caldo afoso e rumoroso di Agia Triada e l’ostello condiviso e l’ansia di non sentire la sveglia di Atene, quella di stanotte è stata la prima di sonno profondo e continuo, almeno finché non sono cominciate le campane delle 7.30. Ero talmente stanca che ho guardato l’ora e mi sono riaddormentata subito.

La mattina è stata lenta, più familiare che esplorativa. La storia del veneziano Marco Sanudo che nel Duecento armò una galera e si auto proclamò duca delle Cicladi raccontata da mio zio, perdermi per le stradine strette che si insinuano tra muri di un bianco abbacinante per andare al market con mia zia, esaltarci per la storia antica con mio cugino mentre facciamo un giro di spesa nel market fuori dal paese.

Mentre torniamo verso casa rimango colpita dalla quantità di minuscole chiesette sparse sugli aspri pendii terrazzati dell’isola. A quanto pare durante la dominazione turca chi aveva una chiesa sul proprio terreno non era tenuto a pagare le imposte.

Il ritmo di Sikinos scorre lento, soprattutto se lo detta la presenza di cinque bambini di età compresa fra l’uno e i nove anni. Dopo pranzo c’è anche il tempo di una breve dormita prima di un tuffo al porto coi bambini. Il tuffo è veloce perché tornati a casa è prevista una breve passeggiata al monastero femminile arroccato sulla vetta sopra Kastro. Mentre si sale lo sguardo si perde sulle sue coste dell’isola e si interrompe laddove comincia la foschia che avvolge Folegandros e Naxos da un lato e Santorini dall’altro. Solo una volta in cima si riesce a scorgere la più vicina Ios, nonché punto di riferimento per i bisogni meno elementari dell’isola. Per fare un tampone rapido, ad esempio, bisogna contattare la farmacia di Ios che lo spedisce per posta qui. In un mondo in cui siamo ormai abituati ad avere tutto e subito a portata di click, qui bisogna tornare a rispettare i tempi rilassati di un’isola rimasta ancorata a un ritmo meno forsennato e forse più salutare. Ecco, ha un che di arcaico questa terra che impone a chi la calca di rallentare e staccare da un mondo che corre sempre più veloce.

Se si segue il lato del monastero a picco sul mare si giunge ad una piccola apertura dove in passato si trovava anche una corda: era da lì che in caso di invasione da parte dei turchi, le suore fuggivano calandosi con la fune. C’è anche un negozio in cui acquistare prodotti tipo marmellate, unguenti, saponi fatti con erbe locali. La monaca offre anche acqua fresca e loukumi, dei dolci turchi. È vestita tutta di nero e nera è la sua mascherina ma si vede dagli occhi che sorride con sincera apertura verso i visitatori.

Kastro in primo piano e Chorio

Mentre il sole scende verso il mare anche noi torniamo verso casa per docce rapide in modo da arrivare al ristorante prima della folla. Il tavolini sono posti sotto un pergolato con grappoli d’uva bianca che paiono finti da quanto sono grandi e succosi. Il servizio non è particolarmente accogliente ma il cibo è talmente buono che si può perdonare. Ordiniamo delle polpettine di fave o zucchine con la menta, un’insalata greca classica, del formaggio fritto da condire con limone e infine i piatti forti: gli stufati, di manzo, maiale e galletto. Io prendo quest’ultimo, cotto nel vino insieme a cannella e chiodi di garofano.

Dopo cena è tempo di due passi in paese dove un festival anima le strade in questi tre giorni tra performance, installazioni, realtà virtuali e per finire un concerto dei Madde Vandal a base di musica tradizionale ma con piglio rock.

I bambini intanto scorrazzano per la piazza e le strade del paese, liberi di muoversi in autonomia per queste vie in cui la cosa più pericoloso che può capitare è inciampare nel buio e cadere.

Mentre tutti via via vanno a letto io rimango in piazza ad ascoltare il concerto. La cantante ha una delle voci più belle che mi sia capitato di sentire ultimamente. In una breve sequenza di note del flauto riconosco la stessa successione di una canzone sarda con cui sono cresciuta da bambina eppure è ascoltando questa musica che ho la percezione netta di essere un’ospite qui. Sento i commenti intorno a me, vedo alcune persone ballare, e mi sento come potrebbero sentirsi gli autoctoni di qua a un concerto in cui a un certo punto viene suonato il Trescone.

Ecco, se la prima settimana mi sono buttata nella vita di una piccola comunità di pensionate greche in un paese di mare vicino a Salonicco, qui sento di essere un’italiana tra italiani che si cala nell’atmosfera del luogo ma che comunque continuerà a vederlo da esterna.

Intanto la musica continua, il pubblico sempre meno timido inizia a ballare, si prende per mano e inizia a ballare in cerchio e sembra che tutti conoscano i passi ritmici con cui andare avanti e indietro mentre si gira in tondo.

Come un po’ sempre io, invece di partecipare, osservo.

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