Di solito il giorno della partenza per me è solo il giorno della partenza. Quello in cui ciondolo per casa in attesa dell’ora in cui andare via. Oggi, complice il traghetto alle 15.40 avevo previsto qualche attività, tipo fare la valigia, pulire la stanza, visitare Chorio, magari fare un bagno. È andata a finire che non solo ho fatto tutto ciò ma sono anche riuscita a incastrarci una passeggiata mattutina al vecchio porto dell’isola sul versante opposto a quello attuale con mio cugino e il suo amico ospite a Sikinos con la famiglia. La strada sotto il sole a picco parte da Kastro e termina sul mare dopo una ripida discesa che al ritorno si trasforma in salita.

Il sentiero scende rapidamente tra tratti in terra e altri formati da scalini in pietra costruiti chissà quanto tempo fa quando l’accesso all’isola si faceva da qui. Ogni tanto facciamo un po’ di rumore per allontanare eventuali vipere ma per il resto ci meravigliamo della capacità dell’uomo di trovare soluzioni.

Poco prima di giungere all’insenatura sede del vecchio porto incontriamo anche l’ennesima chiesetta. Come in tutte le chiesette sparse per l’isola, la chiave è inserita nella toppa, chi vuole può aprirla, entrare, pregare, visitare, e poi richiudersi la porta dietro. Il marito di mia cugina prima che arrivassi io in una di queste chiese sparse per l’isola ci ha pure dormito.

L’acqua è fresca, cristallina, di un azzurro intenso. Mi sorprende la pressoché totale assenza di pesci ma in effetti è una caratteristica del Mar Egeo e allora non stupisce che a Sikinos ci sia un solo pescatore che peraltro si fa la guerra con quello di Folegandros a suon di piccoli sabotaggi.

La risalita è ardua, un po’ per l’intensità della salita ma molto per il sole che picchia nonostante siamo partiti quasi senza asciugarci. Prima di rientrare a casa devio per Chorio con le ultime forze per vedere questo paesino diverso da Kastro, meno sinuoso e ugualmente caldo. A meno che non si trovi un muro all’ombra a cui appoggiarsi e allora diventano ancora più incredibili la conoscenza umana e gli espedienti che si inventa per sopravvivere.

Ora sono sul traghetto per Santorini, tra odore di nafta e souvlaki. Stiamo costeggiando Ios e il caldo è mitigato solo da occasionali refoli di vento. Una volta scesa dal traghetto dipenderà tutto da me, a Santorini non ho nessun appoggio e l’idea di passare due notti in un’isola votata al turismo intenso e spendaccione non mi attrae per niente. A Sikinos ho trovato un po’ di quei ritmi lenti di Creta, quelli in cui non c’è molto da fare, solo rilassarsi e staccare il cervello.

C’è però da dire che l’arrivo a Santorini, l’ingresso nella baia è spettacolare con quella terra scura e rossa che sorge dall’acqua.

Oìa abbarbicata sulla scogliera

I traghetti per le Cicladi mi fanno un po’ ridere, così diversi da quelli che collegano la Sardegna col continente. Si sale e si scende come un bus, ancora prima di aver attraccato i passeggeri sono accalcati nei garage a recuperare i loro bagagli e ad aspettare di scendere. Respirare si respira, la passerella delle auto è già stata parzialmente calata. Prima di arrivare si scorge una fila di bus scendere dai tornanti che dall’alto portano al porto, sono i bus del trasporto locale che in pochi minuti si riempiono di passeggeri che per due euro vengono scaricati nel centro di Fira, il centro principale dell’isola.

Sono in una stanza molto spartana a meno di 10 minuti a piedi dal centro di Santorini. La stanza è in effetti un po’ calda e il condizionatore non rinfresca a sufficienza però visti i prezzi della zona mi basta e avanza. Oltretutto è in una posizione molto comoda per prendere il bus per l’aeroporto.

Dopo una doccia rapida esco sperando di fare in tempo a vedere il mitico tramonto di Santorini ma ormai mi sono attardata e quando arrivo il crepuscolo è già inoltrato.

Le stradine di Fira sono strette e affollate di gente. Guardo le persone vestite coi loro abiti migliori, tutte ben truccate e perfette e poi penso a me che giro o con delle scarpe da trail running o con dei sandali da mare che hanno molto da farsi perdonare dallo stile. Nel mio bagaglio ho messo l’essenziale per due settimane. Essenziale e funzionale. Comodo, non bello. Ho qualcosa di più carino ma almeno per le scarpe ho privilegiato la comodità. Sono piuttosto fiera di me perché ho usato tutto ciò che mi sono portata dietro, giusto dei pantaloni e un paio di calzini da trekking più pesanti sono rimasti sul fondo dello zaino ma più perché è saltata l’escursione sull’Olimpo che perché non mi sono serviti. Stesa cosa per il k-way. Alla fine son partita con tre magliette, una maglia a maniche lunghe leggera, una camicia a maniche corte, un pantalone lungo, uno short, uno da battaglia che è stata la mia seconda pelle, una felpa leggera in pile (che ho usato i primi giorni a Sikinos quando la sera il meltemi mieteva vittime), una felpa leggera, qualche mutanda, qualche calzino, pantalone e maglietta per dormire, due costumi, cappellino, scarpe da trekking, sandalo brutto, infradito da doccia, scarpe da scoglio. Asciugamani vari, beauty, reparto entertainment (ereader, iPod, telefono), mascherine, borraccia. Poco altro ma altro non mi serviva. Compatta, leggera. Ho lasciato i doni che ho portato in Grecia, ne ho presi degli altri da portare in Italia.

Domani ho 24 ore da passare a Santorini e ancora non ho deciso che fare. Fondamentalmente perché ora che ci sono vorrei fare tutto ma tutto è troppo. Ho fatto tantissime cose brevi e intense a Sikinos ma ho avuto cinque giorni per farle, qui mi ritrovo a non sapere scegliere e a pensare che in futuro, magari, chissà… l’isola di per sé mi sembra un’altra di quelle terre piene di spirito, è il turismo di massa che l’ha trasformata in qualcosa che ormai rischia di perdere la sua identità in favore di frotte di persone che affollano negozi di souvenir tutti uguali e ristoranti e cocktail bar alla moda con la vista sul tramonto.

Peccato perché mi sa che queste Cicladi a me piacciono tanto.

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