Avevo letto che il modo migliore per visitare Santorini è affittare una macchina (o un quad o motorino che infatti affollano strade e parcheggi) ma voglio avere meno lacci orari possibili e, sembra un paradosso, ma il bus mi garantisce più libertà di movimento perché le sue corse continuano fino a circa mezzanotte. Non che abbia intenzione di stare fuori fino a quell’ora ma poter decidere di rientrare dà ovunque sia oltre le 20 mi da un certo senso di tranquillità. Soprattutto non ho voglia di pensare alla strada e di ricordarmi di fare benzina visto anche quanto costa.
Il risveglio è stato duro, avevo grandi progetti di sveglia relativamente presto ma dal suono della sveglia a quando mi sono alzata è passata circa un’ora.
Quando finalmente riesco a uscire dal camping/hotel il bus che pensavo di prendere è probabilmente appena partito. Opto quindi per una passeggiata per il piccolo borgo di Fira e mi rimane l’impressione di essere un paesino bello ma senz’anima, succhiata dal turismo chic e che sbatte un po’ in faccia la sua ricchezza con tutte le piscine, alcune private, degli alberghi e dei resort affacciati sullo strapiombo. Mentre cammino in mezzo al puzzo di escrementi degli asini che percorrono i vicoli che portano ai quasi 600 gradini che collegano Fira col suo antico porto, una coppia di italiani mi chiede direttamente in italiano se posso far loro una foto. Chiedo se ho davvero la faccia così tanto da italiana e mi rispondono di sì. Ci rimango un po’ male, pensavo di mimetizzarmi molto di più ma evidentemente sono molto più italiana di quanto non pensassi.

Alle 11 salgo sul bus per Akrotiri, non tanto per vedere il piccolo borgo o il sito preistorico quanto per farmi un bagno nella decantata spiaggia rossa. Lungo la strada rimango colpita dalle distese di vigneti che a malapena si alzano da terra. Niente a che vedere con gli ordinati filari toscani a cui sono abituata. Questo perché le piante si adattano alle condizioni climatiche del luogo in cui crescono e a Santorini soffia il vento.

Un’altra cosa che mi ha colpito di tutta la Grecia è l’uso del casco che sarebbe obbligatorio ma invece viene usato credo solo dai turisti più ligi.
L’isola ha aspetti di grande modernità, gli autobus sono puliti, in orario, dotati di aria condizionata però sono anche pieni e anche sui bus modello turistico per chi arriva tardi sono previsti posti in piedi. Poco male, nessun tragitto dura più di 25 minuti però in tempi di Covid fa comunque un po’ pensare.
Scendo ad Akrotiri beach e seguo i cartelli per la spiaggia rossa, cercando di camminare sotto la poca ombra e trattenendo il respiro passando davanti a cassonetti che emanano un tanfo insostenibile.

La fila per la spiaggia è lunga ma la sorpresa è un po’ amara. Dal punto di vista panoramico le rosse rocce laviche sono molto imponenti ma l’acqua, forse a causa delle correnti infelici, è torbida e piena di alghe. Mentre torno indietro sento dei toscani esprimere il mio stesso parere, dico che sono d’accordo e da loro scopro che a Santorini non si va per il mare al che da un lato mi spiego cosa ci fanno tutti questi alberghi con piscina ma dall’altro mi chiedo che cosa si vada a fare su un’isola così piccola se non per andare al mare. Mi dicono che per il mare bisogna andare a Kamari a est o Perissa a sud. Temendo che Perissa sia esposta agli stessi venti della spiaggia rossa torno a Fira e salgo sul bus per Kamari.
Kamari è una lunga distesa di pietra lavica nera, costellata di ombrelloni e ristoranti. Ciononostante riesce ad essere tranquilla e senza schiamazzi. Se durante il mio riposino pomeridiano non ci fosse stata la musica di qualche locale sul lungomare sarebbe stata perfetta.

La sabbia è bollente e meno male nel dubbio ho portato scarpe da scoglio con cui raggiungere l’acqua limpida di un verde azzurro intenso. Dopo il bagno mi sciacquo il sale con una delle tante docce gratuite di cui sono provviste le spiagge libere greche e mi dirigo alla ricerca di cibo. Per questa ultima giornata di vacanza ho deciso di concedermi un pasto vero al ristorante, costi quel che costi. Percorro buona parte del lungomare di Kamari prima di fermarmi al Sea view steak house and restaurant dove esagero e ordino un tira saganaki (un formaggio fritto e servito con uno spruzzo di aceto balsamico e limone) e un calamaro ripieno di pomodoro, feta, peperoni e olive, servito con purè di fave, cipolle e capperi. Il tutto bagnato da una Yellow donkey, una birra artigianale locale.



Finisco di pranzare che sono le tre passate, torno dove avevo fatto il bagno prima e chiudo gli occhi per una mezz’ora. Prima di andare via faccio un ultimo bagno e ho la conferma che la storia delle tre ore dopo mangiato prima di fare il bagno è una bugia. Aver scelto il luogo vicino al capolinea del bus come luogo di balneazione è stato saggio perché al ritorno ho un comodo posto a sedere e posso guardare con una certa dose di soddisfazione le persone in piedi o che addirittura rimangono a terra perché siamo troppi. La cosa interessante è il bigliettaio che urla a una coppia entrata in corsa di mettersi la mascherina quando lui la tiene ben sotto il naso e quasi sotto la bocca e passa tutto il viaggio a dire quanto costa il biglietto, che fermata è, dove si deve scendere per il tale albergo. Arrivata alla stazione dei bus di Fira salgo subito sul bus per Oia.

Intanto una menzione per la stazione dei bus: è una piazza di forse 40 metri per 40 in cui gli efficienti bus dell’isola vanno e vengono incessantemente infilandosi in retromarcia e partendo all’ora convenuta. Non tutti i bus hanno appoggiato al cristallo la loro destinazione e bisogna andare dall’assetto della stazione a chiedere qual è il bus per la destinazione desiderata. Senza neanche pensarci lei ha subito la risposta. “Number twenty” o “number sixteen”. Quando il bus è in partenza o lei o un’altra iniziano a urlare per richiamare l’attenzione sul bus che sta per uscire dalla stazione. I biglietti si fanno a bordo o, nel caso di Oia, appena prima di salire sul bus.
Mentre faccio la fila fuori dal bus noto subito che sono tutti vestiti da sera. Io sono fuori da stamattina alle dieci, ho i pantaloni corti della tuta di rappresentanza della mia ultima squadra di calcio, Nike ma pur sempre abbigliamento tecnico. La maglietta è da trekking seppure con dei motivi decorativi che la mimetizzano. Sotto ho ancora il sopra del costume, ai piedi le mie fedeli e comodissime scarpe da trail running (che ho scelto per la loro leggerezza e adattabilità alle varie cose che avevo previsto durante queste due settimane, non perché abbia in programma di correre per sentieri di montagna), i miei capelli sono ancora bagnati. Non sono cosparsa di sale solo perché ho approfittato delle docce della spiaggia.
Le stradine di Oia sono già affollate, io mi dirigo verso il punto estremo pensando che non sarà ancora stato raggiunto dalla ressa. Mi fermo a prendere una lattina di birra e in effetti trovo posto a sedere su un muretto. Per trovare posto a sedere sono arrivata presto, ancora prima delle 19, ho ancora un’ora da trascorrere. Allora inizio a scrivere della mia giornata. Intanto arrivano altre persone, via via che si avvicina l’ora del tramonto la bocca della caldera si riempie di catamarani e un veliero appostati per vedere il tramonto dal mare. Di sotto le case ricavate in caverne nella roccia di Oia e trasformate in lussuose strutture ricettive snocciolano tutto il loro lusso. Infinity pool, tappi di bottiglie che vengono fatti saltare, tutto l’immaginario della ricchezza.

Nascondo il mio fastidio nella scrittura e quando alzo gli occhi scorgo una sagoma velata che potrebbe essere proprio Sikinos e il suo turismo lento e silenzioso, fatto di camminate, di bagni, di storia, di cultura e di mangiate degne di un ristorante alle quali, devo dire, io non ho contribuito se non con la crema. A Sikinos c’erano prevalentemente greci, molti francesi, italiani e poco altro ma niente a che vedere con turismo a tratti becero e festaiolo. A Santorini invece si sentono tantissime lingue, l’età media dei visitatori si abbassa e l’atmosfera è quella di un turismo che non è il mio.
Quando il sole sta per sparire risucchiato dal mare, partono dei festeggiamenti dal veliero seguiti poco dopo dagli applausi degli spettatori a terra di questo spettacolo della natura. Io rimango un po’ delusa, nel senso che bello è bello ma non è tanto diverso dai tramonti che ho visto in silenzio, magari con una trentina di altre persone sparse per l’ampia scogliera di Stintino. E poi tutti questi sunset bar, questi negozi di souvenir, queste strutture ricettive che costituiscono la maggioranza dei locali che si incontrano, mi fanno sembrare tutto una grande pacchianata, come se anche il tramonto fosse finto e commercializzato. Appena il sole scompare l’enorme folla si riversa per i vicoli stretti creando un’unica lenta massa di persone in direzione della piazza con la fermata dell’autobus. Il tramonto a Oia è ormai talmente una tappa di viaggio a Santorini che in piazza ci sono almeno tre bus ad attendere chi vuole rientrare a Fira. E così salgo sul secondo che si riempie con tanto di posti in piedi e parte.

Me ne vado diretta in stanza, devo fare il check out entro le 23 e ho una stanchezza tale che non so con quale forza farò la valigia.
Domani torno a casa, un altro piccolo tour de force con atterraggio su Roma e rientro a Firenze passando però prima da Scandicci. Forse finire in un’isola che non mi è piaciuta rende il rientro meno amaro. Quello che posso dire è che non mi sono affatto rilassata fisicamente, anzi, ho dormito pochissimo, ho girato come una trottola per una lunga tratta di Grecia. Quello che ho fatto per il 90 per cento (e forse anche di più) del tempo però è stato staccare la testa dalle cose che mi tormentano. Non che non debba tornare a pensarci da domani ma almeno per due settimane mi sono goduta una pace interiore in cui il cervello doveva riempirsi solo del mondo che mi circondava nell’immediato.
Ho cominciato con un viaggio antropologico nella vita di una pensionata in una cittadina sul mare nel golfo di Salonicco, sono sprofondata nella maestosità della tomba di un re, ho percorso gli stessi passi del mito e della civiltà occidentale, mi sono calata nella vita di un’isola in cui si opera più o meno allo stesso modo da circa quattromila anni, ho concluso con la patina di finzione che il turismo di massa getta sulle località molto popolari mangiandosi storie e tradizioni.
Dal nord est alle isole ho fatto un bel viaggio in questo paese dal glorioso passato e dall’incerto presente. Di certo però c’è che due volte sono venuta in Grecia e due volte ci ho lasciato il cuore.
Geia sou, Ellade, spero di rivederti presto.
(E spero di aver scritto bene in greco, una cosa è memorizzare i suoni, l’altra sapere come si scrivono)
