L’estate cambia la geografia, la percezione dei chilometri. Quando nelle sue notti un po’ sudate nascono amori al gusto di salsedine e ghiaccioli, ci si trova a coprire distanze inimmaginabili durante l’inverno. Brezze che partono in Maremma arrivano fino a Trento o Torino oppure, perché no, dall’altra parte dell’oceano.

Un’amicizia comune, un osservarsi di nascosto (ma neanche tanto) in spiaggia, sapere già di piacersi senza voler andare oltre per milioni di motivi, salvo poi, dopo settimane a girarci intorno per telefono, decidere di preferire il sentimento alla geografia e salire in macchina. Ieri mattina non stavo tanto bene. Allora ho deciso di venire qui perché con te sto bene. Centinaia di chilometri per stare insieme una notte e una pausa pranzo. Trenta e passa gradi di afa fuori, abbracciate sul letto con temperature corporee ben oltre la media a ridere delle stupidaggini che si dicono fra un bacio e l’altro ma anche a sussurrarsi conferme.

Conoscerti è stato come tornare a respirare. Mi piace il modo in cui mi sorprende ogni cosa che dici. Mi piacciono i crampi che mi vengono quando ridiamo. Mi piace che mi fai domande anche su cose di cui non capisci niente ma che per me sono importanti. E mi piace anche che continui a non capirci niente perché almeno su quello potrò essere più informata di te.

A me invece piace il tuo profilo quando dormi e i tuoi “sì, va bene, hai ragione” a mezza voce quando sbroglio il filo dei tuoi ragionamenti sconclusionati. Le tue mani grandi e un po’ ruvide e anche quell’insicurezza quando proponi tre cose diverse per essere sicura che almeno una mi andrà bene. Mi piace quando mi tolgo dal centro dell’attenzione e racconti tu. E non avevo mai realizzato quanto fossi inquieta finché non ho incontrato la semplicità con cui metti tutto in ordine con un “e allora?”. Alla fine però non ci sono tante altre parole da dire se non “Anche io quando sto con te sto bene.”

Ma poi i mesi passano, osare l’impossibile si scontra con la realtà, scendono i gradi fuori e anche dentro tutto si copre di un sottile strato di brina. E allora le caselle di posta elettronica si riempiono. Eri bella, sai, nel tuo profilo perso chissà dove. Mi ricordo ancora la linea dei tuoi occhi tristi che non mi sarebbero mai appartenuti. Io leggevo e tu guardavi il mare prima di dormire. Tra pochi giorni saresti partita ancora più lontana e le nostre strade si sarebbero separate nonostante i mal di pancia mentre mi portavi in stazione nella prima alba di settembre. Eri bella quando hai deciso di baciarmi sui binari prima che salissi sul treno. Che nel cortocircuito non capivo che quello era già un addio. Tu già in volo e io ancora addormentata in attesa del conto che mi sarebbe stato presentato. Eri bella sì, con tutte le tue indecisioni, gli occhi tristi, i sorrisi illuminanti. Ma ero bella anche io. Non lo dicevo per chissà quale pudore ma ero bella davvero.

A distanza è ancora più facile scomparire e perdersi di vista da un giorno all’altro, quasi senza accorgersene. Le vite in città diverse e lontane non si incrociano quasi mai. Poi magari ci si ritrova per caso dopo anni senza sapere niente o poco più l’una dell’altra. L’inizio è un invisibile scrutarsi da lontano chiedendosi cosa vi avesse unite allora. Sentire chilometri di distanza in ogni centimetro del locale che vi separa, come fosse paura di guardarsi e non sapere cosa dirsi, fino a che, piano piano, le difese si abbassano e riconoscere ogni passo, ogni sguardo, ogni movimento e, quando si finisce inevitabilmente accanto, Mi dai un sorso? e coprire mesi, anni, di lontananza con una sola, stupida frase.

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