Il mio viaggio ha molti aspetti di sicuro interesse, uno di questi è la quantità di persone diverse che ho modo di incontrare.

Giovedì scorso ho lasciato Jen e le bambine. Poiché circolava un bel raffreddore in casa ho aspettato i tamponi mattutini prima di fare il biglietto mentre Jen mi accompagnava alla stazione. Una parte di me non sarebbe stata così dispiaciuta dal dover restare un altro po’, l’altra aveva voglia di lanciarsi nell’avventura successiva.

La parte di me conservativa dello status quo aveva trovato un posto a cui si sentiva di appartenere, un posto in cui si sentiva accolta e amata più o meno in tutto e per tutto. Un posto in cui la gratitudine per essersi conosciute era reciproca e molto semplicemente manifesta. Un posto in cui le barriere potevano cadere.

Di Jen mi porto dietro le risate a tratti scomposte che ci siamo fatte, i suoi gorgeous e lovely, i suoi that’s a good idea le tante volte che mi sono trovata a proporle una buona idea, i suoi complimenti sentiti, il suo dirmi quanto fossi una donna meravigliosa e quanto si sentisse blessed per aver conosciuto me e lo sguardo che le ho mostrato su di sé. La consapevolezza che questo incontro, per motivi diversi, ha toccato entrambe. Soprattutto la facilità con cui ce lo siamo dette.

Dopo un’esperienza così intensa è stato sicuramente un bene che abbia trascorso tre giorni da sola prima di raggiungere una nuova famiglia. Ero talmente piena di amore per questa vita da genitore due che non credo sarei stata in grado di entrare pienamente in un altro mondo e, lo anticipo, anche quando l’ho fatto, i primi giorni sono stati densi di nostalgia.

Una volta abbandonata la Dordogna mi sono quindi diretta a Bordeaux, città che non so bene per quale motivo esercita su di me una certa dose di fascino da sempre e infatti mi sono sentita immediatamente a mio agio. Una volta trovata la forza per attraversare la Garonna (il Pont de Pierre che separava la zona del mio ostello dal centro era lungo quasi 500 metri) la città si presenta molto francese, coi suoi tetti blu su mattoni beige, elegante, vivace e al tempo stesso silenziosa.

Ho trascorso il primo pomeriggio/sera cittadino con Tanya, una tailandese che stava facendo un master in diritti umani. Mi ha chiesto una cosa mentre eravamo in ostello, abbiamo finito per passare quel che restava della giornata insieme, compresa la cena a base di cozze con vista fiume.

Il giorno dopo invece sono stata sola, avevo proposto sia a lei che a un’altra compagna di stanza un po’ più loquace se volevano aggiungersi alla mia gita fuori porta ma hanno preferito restare in città. Io invece, ho deciso di sfidare la mia pigrizia, per farmi una passeggiata di una mezz’oretta verso la stazione dove mi aspettavano un treno per Arcachon e un bus per la Dune du Pyla, ossia la duna più alta d’Europa. Ero stata preparata allo spettacolo ma, una volta vista la frotta di di persone che si dirigevano nella mia stessa direzione, non pensavo sarebbe stato così spettacolo. La duna è talmente grande che le persone si perdono nella sua immensità, soprattutto se si fa lo sforzo di allontanarsi un poco dalla zona nei pressi della scala per chi vuole fare meno fatica a salire. Io non l’ho voluta usare ma ho capito perché sia lì.

Sono anche scesa fino al mare, l’oceano Atlantico, mi sono tolta scarpe e calzini e ho bagnato i piedi nell’acqua fredda. Ero talmente sconvolta dalla meraviglia di quel che mi circondava che, quando ho raggiunto i miei averi abbandonati sulla spiaggia, l’ho fatto saltellando con lo stesso entusiasmo di una bambina.

Al ritorno mi sono concessa una breve passeggiata sul lungomare di Arcachon prima di tornare in città. A Bordeaux ho camminato a caso per le strade del centro alla ricerca di un bar in cui posarmi per bere un bicchiere di vino, ho finito per cenare anche con vista sulla basilica di Saint-Michel, totalmente soddisfatta dalla mia scelta in materia di vino e cibo (un bicchiere di rosso Baraki e una terrina di formaggio Saint Nectare fuso con dentro prosciutto crudo di Bayonne grigliato, miele e noci, accompagnato da patate e insalata) e incredibilmente felice di stare lì. Talmente felice che quando sono rientrata in ostello e ho avuto la sensazione che Tanya avesse bisogno di uno sprone per andare a fare due passi nella Bordeaux illuminata dalle sue luci, mi sono fatta una doccia veloce e l’ho accompagnata.

Sabato invece pioveva e ne ho approfittato per prendere la giornata con calma, talmente tanta calma che l’ho trascorsa interamente alla Cité du Vin, tra tutto quel che si vuol sapere sul vino e una mostra sul rapporto tra Picasso, il vino, i bistrot. Rientrata in ostello ho cenato, sono salita in camera e mi sono trovata a parlare con una nuova compagna di ostello lì per la sera.

E’ vero, l’ostello non permette la stessa conoscenza profonda che si crea quando si condivide la vita di una persona per più giorni, ma ho potuto nuovamente godere di alcuni incontri brevi che hanno dato un senso al mio aver scelto quella soluzione (oltre al prezzo, ovviamente). Ho chiacchierato con Eileen, tedesca che vive in Austria impegnata in un viaggio in Francia di tre settimane che avrebbe avuto la sua conclusione in un corso di surf la prossima settimana; un pomeriggio ho visitato la città con Tanya, tailandese che sta facendo un master in diritti umani e attualmente è a Bilbao dopo essere stata a Göteborg e in attesa di trasferirsi a Londra dopo l’estate; ho avuto una lunga conversazione prima di dormire con Carol, nord irlandese senza lavoro fisso e che si guadagna da vivere facendo la dogsitter per poi poter viaggiare il resto del tempo e che stava guidando da Londra a Valencia per un master di non so cosa e aveva fatto tappa a Bordeaux. Ho viaggiato per poco in vite di altre donne, altre viaggiatrici solitarie, altre donne libere e così lontane dalle immagini di angeli del focolare cui siamo abituati in genere. 

Domenica mattina ho lasciato Bordeaux e sono salita verso nord, dove mi trovo adesso. Sono in uno Château dalle parti di Cognac, il primo giorno ho rischiato di perdermi nei suoi corridoi, adesso ho imparato a riconoscerne le varie stanze e annessi agricoli. Di tutto questo però parlerò un’altra volta. Però sto bene, molto bene, con un pensiero ancora all’amicizia ma contenta della famiglia che ho trovato.

Sono stata felice, incredibilmente e schifosamente felice di vivere nelle ultime settimane. Un po’ come la citazione di Guillaume Apollinaire che ho letto sabato mentre visitavo una mostra temporanea su Picasso alla Cité du Vin di Bordeaux: Je suis ivre d’avoir bu tout l’univers, sono ubriaca dall’aver bevuto tutto l’universo.

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