Quando ho lasciato Firenze il 23 febbraio scorso avevo idee piuttosto vaghe sia sulle motivazioni dietro il mio viaggio sia sul percorso che avrei fatto. Tutto era nuovo, tutto era una scoperta, tutto era ignoto. Sapevo però che c’erano alcune zone che avrei voluto visitare. Ebbene, mi trovo attualmente in una di quelle.
Ho scritto talmente tanto in questi ormai tre mesi che non ricordo più se mi sono già pronunciata sullo stress di trovare nuovi host e sul sollievo che dà ricevere risposte in tempi brevi, è stato quindi senz’altro estremamente gratificante avere una risposta, peraltro positiva, da Kate circa un’ora dopo la mia richiesta.
Quindi eccomi qui, in Bretagna, a Pleudihen-sur-Rance, a chiudere questo ciclo che, partendo da alcuni punti che mi ero prefissata, mi ha portata a visitare ampi tratti dell’ovest della Francia. E’ curioso perché quando sono partita ero un po’ titubante all’idea di andare così lontana da casa, dopo un po’ ho capito che, per come stavo viaggiando, ogni luogo poteva essere casa. E così è stato.
Sono stata così concentrata sul viaggio in questi tre mesi che quando apro i giornali italiani mi sembra tutto irreale, come se niente di quel che leggo avesse realmente un senso, come se alle notizie e al modo di darle sfuggisse completamente l’essenza della vita. Non vorrei ora dare la falsa idea di aver scoperto l’essenza della vita, ognuno trova la sua, per quanto riguarda me penso di poter dire che ridurre la vita al contatto amichevole, collaborativo e aperto all’apprendimento è stato quanto di più profondo e vitale mi sia mai capitato.
Mi capita spesso di ripercorrere alcuni tratti del mio viaggio, di ripensare ai primi incontri, al modo in cui ho dovuto piano piano far cadere preconcetti, non fermarmi alla superficie delle cose e molto rapidamente trovare il tempo per scavare oltre gli strati di convinzioni che albergavano soltanto nella mia testa. Ora, ad esempio, mi trovo nella posizione che farebbe tanto bene alla società italiana: mi faccio spronare e insegnare il lavoro manuale da due ragazze danesi di vent’anni.
Trine e Mathilde sono le altre due Workawayer ospiti della stessa famiglia con me. Vengono dal nord della Danimarca e sono partite circa tre mesi fa con un furgone che Mathilde ha comprato a un idraulico e poi trasformato in un camper con letto, bagno e cucina. L’anno scorso è partita con l’allora fidanzato per un tour dell’est Europa e dell’Italia, a febbraio invece ha seguito la costa iberica e in seguito quella occidentale della Francia con Trine. Le due amiche hanno viaggiato prevalentemente da sole, parcheggiando il camper dove trovavano posti liberi. Questo credo sia solo il loro secondo Workaway. Il primo lo hanno fatto nei Paesi Baschi francesi, nella stessa casa in cui alla fine non sono riuscita ad andare io.
Se inizialmente sono stata un po’ turbata dall’idea di condividere il lavoro con due ragazze così giovani, dopo il primo giorno mi è risultato evidente che invece erano proprio le persone di cui avevo bisogno adesso. Giovani, libere, spensierate e diverse da qualunque persona abbia conosciuto finora.
Mathilde in particolare ha una coscienza di sé e un’autostima che io talvolta fatico ad avere alla mia età, è una ragazza molto manuale, affascinata dalla possibilità di costruirsi cose da soli (il padre come formazione è un costruttore di barche), non crede nella monogamia e non ha preclusioni sul sesso degli oggetti della sua poligamia. Durante le situazioni di gruppo a volte mi pare quasi fastidiosa nella sua sicurezza di sé, quando invece ci siamo trovate a condividere una passeggiata di un’ora/un’ora e mezza io e lei, invece ne ho apprezzato sia la sicurezza di sé, sia l’apertura al dubbio e alla consapevolezza del cambiamento. Che poi, mi ha detto, l’autostima le è venuta viaggiando, prima di partire era in mezzo alla confusione del futuro. Adesso attende una risposta da una scuola per cui ha fatto un colloquio, da come me l’ha spiegata dovrebbe partire come mozzo per poi scalare di livello. Le prime cinque settimane di scuola sarebbero di teoria, i successivi quasi cinque mesi a bordo di una nave.
Quando parla sembra quasi dura, come avesse un’armatura di sicurezza intorno a sé. Quando mi ha detto che secondo lei dovevo provare a usare la levigatrice perché mi sarei divertita invece era quasi materna. Non so se molti degli aspetti caratteriali mi sembrano diversi perché, per quanto parliamo bene inglese, nessuna delle due sta usando la sua lingua madre.
Trine invece ha occhi grandi e sempre spalancati. Mi pare abbia sempre fame e tra le due è quella con la testa che pare più per aria. In Danimarca vive in una grande casa di paglia che suo padre ha costruito dopo aver visto un servizio in tv. Anche lei è estremamente manuale. A differenza di Mathilde è sempre pronta ad aprirsi immediatamente in un sorriso aperto e comunicativo. Una volta finito il liceo ha lavorato in un asilo nido per un anno prima di iscriversi a una scuola di stampo danese in cui si imparano cose come la falegnameria, prima di partire con l’amica. Di lei so meno perché parla di meno e perché buona parte delle cose che ho scoperto su Mathilde me le ha dette durante la nostra passeggiata insieme. Oppure perché per quanto sembri la più dura tra le due, è anche la più facile da inquadrare perché dice di più.
Ho parlato delle mie compagne di lavoro ma non dei proprietari di casa. Kate e Marc, neozelandese nata in Inghilterra lei, anglo-bretone nato in Inghilterra pure lui. Lui ha tre figli da un precedente matrimonio, insieme invece hanno Antoine, 16 anni pieni di vita e di interessi e di uno stile tutto suo: per andare a un matrimonio la prossima settimana ha comprato una giacca di tweed. A detta dei genitori sono più gli autobus che ha perso che quelli che ha preso e spesso torna a casa in autostop. Appassionato di storia, di politica, con degli amici ha messo su un club di italiano a scuola perché gli studenti che appartengono a un club vengono serviti prima alla mensa scolastica, però una volta preso l’impegno lo persegue con convinzione, al punto che il prossimo ottobre i membri del club andranno in Italia, a Milano. Da un paio d’anni vive con loro anche un ragazzo di ventuno anni, rifugiato siriano fuggito dal suo paese a 13 anni e finalmente con lo status di rifugiato con cui può studiare, prendere la patente, viaggiare. Vivono in questa casa che hanno ristrutturato da circa dieci anni e nel corso del tempo hanno calcolato che sono passati circa 140 Workawayer, probabilmente di più perché non hanno continuato il calcolo.
Come molte delle persone che ho incontrato in questi mesi, anche loro si occupano di accoglienza turistica. Non è la loro unica entrata ma il vecchio fienile della casa è stato diviso in due unità e un terzo piccolo appartamento è stato ricavato in una parte dell’edificio principale in cui dormono loro. Per tutta la sua vita Marc invece ha lavorato nell’industria della carne, prima come venditore di carne bovina francese ad altri paesi (ho quindi scoperto che l’Italia ne importa parecchia) e ora come manager in una piccola fabbrica. La carne di pollo e di maiale non la considera carne.
Kate invece ha studiato come infermiera, poi ha vissuto e viaggiato un po’ per il mondo e non ho ben capito che lavori facesse. Ma c’è stato un periodo della sua vita in cui viveva a Pleuhdihen e lavorava a Londra. E’ partita dalla Nuova Zelanda, ha viaggiato in Asia, ha una sorella sposata a un Nepalese, ha fatto una stagione come cameriera in una zona sciistica in Colorado, ha lavorato a Londra, in Australia, a un certo punto ha incontrato Marc e si è stabilita in Bretagna. Fatico a seguirla nel suo accento neozelandese e a volte fatico a seguirla perché parla molto, velocemente e un po’ ho l’impressione che si perda lei stessa nelle cose che sta dicendo. Ha però tante storie da raccontare ed è il tipo di host che ci tiene a che i suoi ospiti visitino un po’ la zona.
Da quando sono qui ho fatto infatti un salto a Dinan mentre portava il figlio dal dottore, mi ha prestato la macchina per andare a Saint-Malo un lunedì pomeriggio grigio e piovoso come il mio umore ma che mi ha fatto in parte bene, ha prestato la macchina a me e alle ragazze danesi per andare a fare una gita fuori porta lungo la costa ma, soprattutto, ci ha portate sabato sera a Dinan a partecipare ad alcuni degli eventi della Festa della Bretagna.




E’ stato affascinante partecipare a una serata di danze in cui tutti i partecipanti parevano conoscere i passi, minimali ma a tratti complessi. Farseli spiegare da sconosciuti felici di insegnare e scusarsi con quelli che si sono trovati a sopportare la mia assenza di coordinazione tra piedi, braccia e parlare in francese tutto in contemporanea.
Ho anche fatto il bagno in mare, in un’acqua che in Italia non avrei mai accettato perché l’avrei trovata torbida, oltre che fredda. Ma qui, trascinata dalla vitalità di Trine e Mathilde mi sono buttata, ho nuotato, grata di essere con loro. Quando siamo andate a visitare Fort La Latte e il faro di Cap Frehel, prima di rientrare ci siamo fermate in una spiaggia battuta da un vento fresco e da onde che non permettevano di nuotare. Con Mathilde però abbiamo indossato il costume, siamo entrare fin dove possibile e ci siamo fatte bagnare dalle onde e io mi sono sentita spensierata e felice di essere dov’ero.


Di questa prima settimana bretone, la consapevolezza più grande che mi porto dietro è che bisogna scendere dal piedistallo su cui l’età ci fa salire e aprirsi anche a tutto ciò che qualcuno che ha la metà dei nostri anni può insegnare. E se non può insegnare, senz’altro ha una nuova prospettiva da mostrare. Ecco, credo che una parte di questo viaggio sia stata anche questo: cambiare prospettiva, vedere la vita da angoli che finora non avevo considerato trovandoli ricchi, vitali e appassionanti.
Ora che scrivo mancano meno di due settimane al mio rientro in Italia. Non sono affatto pronta.
Ciao Francy, in un giorno mi sono realmente bevuta i tuoi scritti!
Quanta ammirazione, nella tua capacità di rendere chiare le vedute, sia panoramiche che emotive,nel tuo scrivere chiaro e appassionato e appassionante,nel senso che ha questa tua avventura e soprattutto in quanto tu sia brava a leggere le persone anche in breve tempo! Sei una forza della natura!
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Ciao Anto! Con un po’ di imbarazzo devo confessare che non riesco a ricostruire con certezza quale Antonella sei ma questo particolare non toglie niente al piacere assoluto che mi hanno dato le tue parole. Quindi grazie grazie grazie!
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