Benché abbia cercato di non pensarci fino all’ultimo, il momento del rientro in Italia è arrivato. In questo momento sono all’aeroporto di Orly a prendere l’ultima aria aperta prima della mezzanotte circa di stasera. Le parole che seguono però le ho scritte stamattina dal monolocale in cui vive la mia amica Giulia a Bussy Saint Georges, placida cittadina che i parigini considerano campagna e non posso del tutto biasimarli, si trova quasi al capolinea della RER. Oggi ho deciso di prendermi la giornata con calma per raccogliere le mie cose ma soprattutto le idee. E cercare vagamente di trovare nella memoria una colonna sonora a questo viaggio, ossia le canzoni che sono sicura di aver ascoltato, alcune delle quali sono per me immediatamente associabili a situazioni e/o persone. Per il risultato cliccare qua (proprio sulla parola qua).


Prima però qualche parola sulla mia settimana parigina. Intanto quelle per me più sconvolgenti: non avevo tanta voglia di venire a Parigi, l’avevo visitata più volte e in ogni stagione, come ci sono arrivata invece ho iniziato a sentire un profondo senso di familiarità. Parigi è la città in cui ho sempre avuto voglia di tornare, questa volta ero quasi insofferente all’idea di metterci piede ma poi ho finito per sentirmici a casa ogni giorno. Anche quando ho dovuto camminare 15-20 minuti per arrivare alla RER, farmi mezz’ora di treno e poi prendere la metro per raggiungere le mie mete, l’ho fatto con un senso di solidità e stabilità interiore inaspettata. Non mi hanno turbato le folle (ok, tranne quelle davanti alla basilica del Sacro Cuore a Montmartre), non mi hanno turbato le metro piene e senza mascherine, non mi hanno turbato le gallerie del vento che sono certi corridoi della metro, non mi ha turbato la pioggia che a tratti è caduta copiosa, non mi ha turbato praticamente niente e anzi, dopo mesi quasi sempre sperduta nella Francia rurale, ho proprio amato la vitalità e vivacità di una grande città.

In questa settimana non mi sono però solo beata delle tante anime di una città grande, delle sue strade, come quella di Chateau d’Eau, che a volte pare di essere più in Africa che in Francia, ho anche soddisfatto un desiderio infantile: visitare quella meravigliosa pacchianata che va sotto il nome di Disneyland. La vita è fatta di amici nei posti giusti e io ho la fortuna di averne una che a Disneyland ci lavora e ha potuto omaggiarmi di tre ingressi che ho condiviso con la figlia di mia cugina a cui facevo da babysitter quando avevo 17-20 anni e il suo fidanzato.

Di vero a Disneyland ci sono solo le interminabili code, il resto è permeato di una coltre di finzione ma, per l’appunto, meravigliosa. Sarà che ancora una volta ero in compagnia di due ventenni ma grazie a loro, probabilmente anche sulle ali di una certa inconsapevolezza da parte mia, ancora una volta ho superato il mio limite della paura salendo su giostre che a distanza di quasi una settimana non riesco a credere di aver fatto. Ho pianto entrambe le volte che negli spettacoli che sono andata a vedere ho sentito la canzone di apertura del Re Leone, ho aspettato i giochi di luce e fuochi artificiali finali con una curiosità senza aspettative ma poi li ho guardati con gli occhi spalancati di chi aveva aperto le porte al suo bambino interiore. Ho avuto per tutto il giorno la sensazione di essere in un impero un po’ finto dei buoni sentimenti ma mi sono divertita, commossa e meravigliata come mai avrei pensato.

I giorni successivi li ho trascorsi sostanzialmente incontrando persone. Da Maurizio, l’amico del mio lungamente datore di lavoro Sergio che mi ha aiutata a tradurre il curriculum in francese incoraggiandomi a provare la strada dell’estero, fino a Valentina, amica di una mia amica, a lungo lavoratrice nel cinema, partita da Scandicci per poi andare a Roma e infine a Parigi con cui siamo partite dalla paura di osare la novità del cinema italiano ma poi siamo arrivate a sostenere che è il problema dell’Italia in generale dandomi un’ulteriore spinta a non considerarmi troppo stanziale ora che rientro a Firenze. Questi ennesimi sconosciuti incontrati sul mio cammino, queste ennesime persone che hanno cambiato città, cambiato paese, cambiato lavori e ancora non hanno trovato il posto in cui posare le loro valigie definitivamente.

Prima di incontrare loro domenica e lunedì ho però trascorso un pomeriggio con Carlo, uno dei tanti cugini di mio padre, e famiglia che erano in visita in città e mi hanno accolto a braccia aperte quando ho chiesto se sabato sera potevo condividere con loro l’appartamento di un altro membro della nostra famiglia a Parigi. Ho dormito su una poltrona letto aperta nella cucina, accanto ai suoi due figli adolescenti. Ho dormito lì perché sabato sera ho cenato con Malie e non avevo voglia di avere il pensiero della metro, della RER e infine della camminata da fare per tornare a casa dopo cena. Questa cena per me è stata una sorta di chiusura di un cerchio e sono stata contenta di averla incontrata alla fine e non all’inizio del mio viaggio quando sono passata per Lione ma lei non era in città.

Con Malie ci siamo conosciute tramite mia sorella un giorno di fine agosto dell’anno scorso. L’ho ospitata in casa mia a Firenze per una notte sul percorso di fede che la stava portando a piedi da Lione a Gerusalemme. L’ho poi seguita non una ma due volte nel mese successivo, quasi fosse una sorta di profeta che mi stava mostrando una via. Molto candidamente sostengo che quell’incontro è stata una delle rivoluzioni della mia vita: Malie è la persona che con il suo esempio mi ha spinta a partire. È stato incontrando lei e il suo sguardo aperto sul mondo e sull’altro che ho imparato a non avere paura. Anche se, mi ha detto sabato, quando siamo scappate nella notte dalla casa in cui avevamo chiesto ospitalità il giorno in cui siamo uscite a piedi da Roma ha avuto paura. Probabilmente più di quella che avevo percepito.

Non mi dilungherò oltre su quel primo incontro perché ne ho già scritto ampiamente ma posso dire di aver capito realmente il suo viaggio solo ora che ho fatto il mio e sono contenta di averla incontrata alla fine anziché all’inizio. Dico “realmente” ma intendo nei limiti di come si può capire il viaggio di una persona che cammina per quasi sei mesi e per buona parte di questi bussa alle porte degli sconosciuti per chiedere vitto e/o alloggio per la notte. Nell’incontro con l’altro però, nella versione di noi stessi che fuoriesce da questo genere di viaggio, nella difficoltà a riadattarsi a una vita completamente programmata e lontana dall’essenza delle cose che accompagna questi viaggi, credo ci siano invece molte affinità.

Quando nove mesi fa ci siamo salutate ad Artena, nei Castelli Romani, non sapevo se ci saremmo mai riviste ma sono felice di averlo fatto perché avevo bisogno di esprimerle a voce tutta la gratitudine che mi portavo dietro dall’incontro con lei. Dopotutto è stato vedendo il mondo attraverso i suoi occhi che ho iniziato a capire quanto mi stesse stretto il mio e quanto fossi in realtà pronta a uscire dalla mia comfort zone.

Abbiamo cenato, chiacchierato, riso, avuto opinioni diverse, raccontato il mio viaggio, un po’ meno il suo, come se il tempo non fosse passato, poi, luminosa e quasi gitana nella sua lunga gonna azzurra, di corsa come è arrivata, se ne è andata e io sono tornata a casa a piedi, per una Parigi piena di persone fuori il sabato sera. Ero stata bene a cena però mentre camminavo mi sentivo svuotata, come se l’aver finalmente condiviso le riflessioni che avevo accumulato durante i mesi dal nostro ultimo incontro, mi avesse prosciugata. O forse avevo semplicemente bevuto un bicchiere di vino di troppo perché il giorno dopo sono ripartita col mio giro di incontri come se niente fosse.

A cena Malie però mi ha chiesto cosa mi portassi dietro da questo viaggio e non ho avuto una risposta del tutto pronta. Probabilmente però il problema è che mi porto dietro talmente tante cose che non saprei come sintetizzarle. Proverò con un elenco incompleto un po’ sciocco e un po’ no.

  • Non puoi dire di esserti pienamente integrato in Francia finché non inserisci con la giusta intonazione e a proposito le varie “uh la”, “oh la la”, “oh la la la la”. E “hop”. Se poi impari anche l’utilizzo della dolce pernacchia che sostituisce l’italico “boh” allora la cittadinanza francese di ufficio ti aspetta.
  • Un’altra strada per l’integrazione è l’accoglienza nella propria casa della vinaigrette.
  • Se proprio proprio vuoi esagerare: lamentati come solo i francesi sanno fare.
  • Collegato al punto di cui sopra, mi porto dietro che la lamentela continua è davvero pesante e che ho avuto la fortuna di essere accolta in famiglie che non ne facevano il punto focale attorno a cui ruotava l’esistenza. Tradotto in parole semplici: si vive meglio senza lamentarsi e senza essere circondati da lamentale.
  • Quando si prenota su Airbnb bisogna ricordarsi che spesso ci sono persone, probabilmente non tanto diverse da noi, dietro quindi vanno trattate bene le loro case e bisogna essere gentili se non tutto è perfetto.
  • Le ortiche possono essere molto fastidiose.
  • Si può lasciare andare sull’igiene. Si può lasciare andare in generale. Io nella mia cucina comunque continuerò ad avere una spugna per i piatti e una per il tavolo, un asciugamano per le mani e uno per i piatti.
  • Prima di entrare in casa chiedere se le scarpe si devono levare.
  • Ogni persona, ogni famiglia si organizza secondo le proprie necessità e attitudini. Che non sono necessariamente quelle di chi viene da fuori. 
  • Non possiamo essere perfetti in tutto.
  • Non bisogna mai fermarsi al primo impatto.
  • Quando si dice che i bambini cambiano le proprie priorità e prospettive è vero.
  • Una testa pensante serve sempre ma senza un cuore aperto sarà sempre manchevole di qualcosa.
  • La libertà sta dentro di noi. Ovviamente se vivi in un paese democratico e hai una certa dose di libertà personali a cui non hai mai fatto caso perché le dai per scontate.
  • La vita è cambiamento, bisogna accettarlo. 
  • Ho visto famiglie, persone, spostarsi, lasciare quel che conoscevano, per buttarsi in quel che non conoscevano e sono sopravvissute.
  • I bistrattati giovani hanno risorse e conoscenze utili anche ai talvolta autoreferenziali adulti.
  • Se non guardiamo il mondo con gli occhi di qualcun altro, continueremo a vedere sempre il solito quadro.
  • Per parlare al mio cuore basta non farlo in italiano.
  • Scaldare l’acqua per la pasta nel bollitore non è peccato. Soprattutto se hai bambini piccoli e fretta.
  • Sono molto più adattabile di quanto non si pensi.
  • Le abitudini sono sicurezze ma non sono obblighi, anche se è il primo pasto della giornata che cambia. 
  • Gli inglesi (e i neozelandesi) bevono davvero molto tè.
  • Burro. Burro. E ancora burro. Rigorosamente salato.
  • Inizio ad aver voglia di una pizza.
  • Leggerezza. 
  • Quel che si dice sull’amore è vero, è che a volte lo si dice con parole talmente banali che crederci è difficile. 
  • Non ho raggiunto una meta ma forse ho trovato una strada.
  • Ho molti più numeri di telefono di quando sono partita. Alcuni sono di persone che adesso considero amiche.
  • Non è stato un viaggio fisicamente rilassante, mentalmente però è stata una festa.
  • Ho goduto profondamente di tre mesi e mezzo in cui il Covid è stato un pensiero molto latente, quasi inesistente. 
  • Mi sono portata dietro solo l’essenziale: ho fatto un bagaglio pressoché perfetto, di cui ho usato il 99% circa, trucchi compresi.
  • La curatrice energetica ha detto che ho un corpo tonico. Io lo vedo con qualche chilo in più di un anno fa. Non serve che me lo diciate quando mi rivedete, lo so.
  • Ho imparato definitivamente che mi piace il calcio, mi piace la musica, mi piace scrivere, mi piace conoscere persone nuove.
  • Non ho mai sentito la nostalgia di casa perché in fondo casa è stata ogni casa in cui ho dormito.
  • Nessuna delle famiglie che mi ha ospitato aveva vissuto tutta la vita nello stesso posto. Alcuni erano rientrati, altri erano solo partiti. 
  • A ogni persona che ho incontrato andavo bene com’ero. Un po’ lenta, con le cosce grosse, la cellulite, molto chiacchierona, senza un’idea precisa di futuro ancora ma volenterosa, attenta, collaborativa, amichevole, adattabile, capace di comprendere perfettamente la situazione in cui si trovava. Apparentemente sono anche un’ottima cuoca ma è facile quando fai le solite tre o quattro ricette in ogni famiglia.
  • Ogni persona che ho incontrato ha preferito sottolineare le cose in cui ero brava anziché quelle in cui arrancavo un po’. 
  • Dopo sette famiglie su Workaway, una famiglia non su Workaway, incontri vari ed eventuali, posso dire che la mia anima è un po’ prosciugata da questi continui saluti e partenze da luoghi che sono state case. Ma ho amato ogni istante.
  • Mi sono chiesta più volte come sarebbe stato se anziché una famiglia ne avessi scelta un’altra, mi sono risposta che non mi interessava, non potevo che incontrare le persone che ho incontrato.
  • E’ stato bello, per tre mesi e mezzo, non essere figlia di, nipote di, sorella di, cugina di, assistente di, ma solo me.
  • Vado bene così come sono.
  • Ho sicuramente dimenticato qualcosa.

Chiudo ringraziando sentitamente tutti quelli che mi hanno incoraggiata a partire quando ho avuto un po’ paura, tutti voi che avete avuto la pazienza di leggermi ma, soprattutto, tutte le meravigliose anime che ho incontrato in questi tre mesi e mezzo volati come fossi partita ieri.

Constance che mi ha conosciuta attraverso mia sorella anni fa e mi ha prestato la casa a Lyon, Val che mi ha regalato una serata di chiacchiere e umanità dopo due giornate troppo solitarie e ancora un po’ confuse.

Jonathan che mi ha reso il salto in questo mondo sconosciuto del Workaway più morbido. Tanya e la sua passione per la lettura di poesie prima delle sue ottime cene. Hugo e il suo animo candido e gentile. Malcolm e la sua passione culturale e civile.

Sylvie che mi ha fatta sentire più un’amica in visita che una sconosciuta. Celine che mi ha regalato una visita in un angolo di natura di cui avevo bisogno dopo settimane di triste pioggia. Regis col suo amore per Firenze e l’ottimo vino che ha smesso di produrre. Sua moglie di cui ho vergognosamente dimenticato il nome ma è alta, bionda, danese e pacata.

Sonia che mi ha trattata da regina (anche troppo) e con cui ho dovuto quasi litigare per lavare i piatti, Sergio che dall’alto della sua sconfinata conoscenza musicale mi ha ascoltata cantare. Fedra che ha capito il momento e mi ha ricordato di vivere pienamente il presente. Gina e la sua invidiabile energia. Rosa, piena di iniziativa, e che si fa capire anche in spagnolo. Igor che parla poco e il suo amico poeta di cui anche qui ho vergognosamente dimenticato il nome che sta vicino alla sua ex fidanzata ora che lei ha cominciato la transizione. I tre poco più che ventenni americani coi loro sorrisi aperti e curiosi in un locale di Barcellona. Rox e la sua carica di trascinante vitalità.

Monique e il dolce strazio di quel che resta di una vita ormai dimenticata. Isabelle che col suo senso dell’umorismo, la sua leggerezza e libertà ha iniziato a tracciare una strada nel mio cuore. Manolo che non si abbatte mai e suo figlio che ancora non sa cosa fare.

Alice che è partita da Firenze e mi ha fatto sentire più tolosana che fiorentina. Yoan e il suo sorriso sempre aperto. Jessica che mi ha introdotta al concetto di “politesse française” e che mi ha fatto sentire in grado di parlare francese. Tutti e tre che mi hanno riportato gioiosamente nella mia fascia di età.

Katrina che aspettava lo stesso autobus che non arrivava a Periguex e mi ha detto che dovessi aver bisogno di un posto a Southampton posso contare su di lei.

Jen dopo la quale niente è stato come prima e che non credo di poter contenere in una sola frase ma che mi ha guardata con gli occhi con cui vorrei guardarmi io tutti i giorni. La dolce Fleur che mi ha ricordato tanto me (a parte il rosa e le principesse). Elodie e la sua straripante (e faticosa) simpatia che invece mi ha ricordato mia sorella. Tutte e tre che mi hanno fatto sentire parte di qualcosa. Natasha che pare non vacillare davanti a niente, nemmeno a un’enorme casa da pulire a fondo. Il pranzo con Jen e Hayward dopo il quale ho capito che ero con amici un po’ come me e non con sconosciuti.

Tanya che ha condiviso Bordeaux con me. Eileen che sembrava così leggera nel parlare del suo mese solitario in giro per la Francia che un po’ è stato un dispiacere condividere con lei solo poche chiacchiere in dormitorio. Carol, altro spirito libero e senza una fissa dimora secondo la quale ripartirò.

Shirley, donna determinata e piena di amore che ho imparato a conoscere dietro quella che secondo me era una maschera giorno dopo giorno. Guillaume che mi ha trattata come se un giorno il castello sarebbe stato mio. Aliénor, Jules e Victoria, fratelli e sorelle uniti, vicini, giocosi, protettivi e alcuni con le idee già piuttosto chiare. Anne e la divertente sincerità che solo l’età e un sano disinteresse per le opinioni altrui possono dare. Josette che imperterrita continua a lavorare dopo la pensione. Chloé (credo, non ricordo più con certezza) che arrotonda lo stipendio lavorando a domicilio e che studia con determinazione per arrivare a gestire un centro estetico. Mariana, arrivata da Bogotà a cui Parigi non è piaciuta e allora è partita da sola in giro per la Francia.

Candice che con la sua generosità infinita ha iniziato a curare i miei scricchiolii sentimentali e sulla quale so di poter contare anche in futuro. Bertrand che parla poco ma mai a sproposito. Rafael, Nathan e Matheo, che con la loro curiosa dolcezza mi hanno regalato giornate di divertimento e pienezza spensierati. Mohamed che ha imbiancato quasi tutta una stanza per mostrarmi come si fa e poi mi ha messa, una volta tanto, nella posizione di dover dire che era simpatico e gentile ma forse da me voleva qualcosa di più mentre io no. Hannah che anche se era pagata per farlo mi ha permesso di riflettere e di mettere dei punti su chi ero e su quel che stavo facendo. I genitori di Bertrand, ma soprattutto il padre, che mi hanno permesso di rompere il ghiaccio in famiglia. La sorella di Bertrand che anche se solo per una sera ha portato una brezza marina e mi ha ricordato che agli occhi di un francese gli aperitivi italiani sono più che invidiabili.

Kate che con la sua vita in continuo movimento mi ha ricordato che non sono l’unica a non avere le idee ancora chiare. Marc, una sorta di panzer delicato e incrollabile. Antoine e i suoi amici 17-18 enni appassionati e gentili. Sorekli che con la sua storia mette i nostri problemi nella giusta prospettiva. Mathilde che ha sognato un camper e se lo è costruito, e che camminando in cima a una scogliera mi ha ricordato che vivere non solo si può, ma si deve. Trine che coi suoi occhi spalancati ha dispensato buonumore per osmosi. Leslie, Carol, Mike, Thierry, Eric, Laure, Liou, altre persone che mi hanno ricordato l’incessante movimento da accogliere a cui sono sottoposte le nostre esistenze.

Giulia, che mi ha attesa fino alla fine, non solo del viaggio ma anche dei fuochi di Disneyland, e che mi ha aperto l’ennesima casa che ho sentita mia di questo viaggio. Anna e Giovanni che con la loro giovinezza mi hanno spinta oltre i limiti della mia paura. Carlo, Daniela, Tommaso e Ludovico, che mi hanno ricordato che per quanto non mi sia mai realmente mancata la mia famiglia in questi mesi, è sempre una fortuna sapere di averne una su cui contare. Valentina, che mi ha incoraggiata come fossimo amiche e non come se ci fossimo conosciute da meno di un’ora instillandomi il pensiero che Parigi… forse… insomma… chissà… pourquoi pas. Maurizio, che ha iniziato ad aiutarmi quando ancora neanche sapevo in cosa, come e perché farmi aiutare. Malie, che nove mesi fa mi ha insegnato a non aver paura, ad essere grata per quel che avevo, ad accettare l’amore che ricevevo e senza il cui esempio non sono sicura avrei trovato il coraggio di partire così.

Me stessa che, una volta che ho deciso, ho vissuto pienamente, giorno per giorno, senza (troppe) preoccupazioni, accogliendo tutto quel che il viaggio aveva da darmi senza preclusioni. Me stessa che, come mi ha detto un’amica in un messaggio, ho avuto il coraggio di viaggiare libera e in solitaria, condividendo anche solo un minuto di me con altre persone.

2 pensieri riguardo “Le coeur ouvert à l’inconnu / 20

  1. Grande Francesca, questo capitolo è finito, mi piace per te quello per quello che hai vissuto e che hai benevolmente e abilmente condiviso, mi dispiace per me se non ti inventi qualcosa da scrivere e quindi da leggere. Magari non è un capitolo ma solo un paragrafo….. e la storia continua! Un abbraccio

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