Il racconto deve essere nudo e crudo, nei suoi alti e bassi, quindi nudo e crudo sarà. A bruciapelo: questa settimana è stata difficile, molto difficile. Non che non fossi preparata ma lo stesso, aspettarsi la tempesta non la rende meno tempestosa. Mi sono vista sbattere in faccia la difficoltà di conoscere persone in una grande città che, peraltro, è nota per la scarsa attitudine dei suoi cittadini verso i nuovi arrivati. Difficoltà accresciuta anche da una mia sostanziale incapacità di andare verso le persone che non conosco. Sono abituata a viaggiare da sola, mangiare da sola, ho iniziato anche a posarmi nei bar da sola, ma in tutte queste occasioni, tendenzialmente sola rimango. Quindi questa settimana sono entrata in un loop di solitudine, lunedì credo di non essere neanche uscita dall’appartamento in una giornata di puro degrado psichico. Poi ho preso i miei piccoli accorgimenti e, nel mio piccolo, ho fatto qualche passo fuori dal loop.

La domenica in realtà è stata serena, una passeggiata post pranzo al cimitero del Père Lachaise per constatare che il turismo funerario non rientra fra i miei must ma la foto al luogo di sepoltura di Guillaume Apollinaire*, nel dubbio l’ho fatta. Eppure questo enorme spazio verde, costellato di lapidi, cappelle, monumenti funebri, un crematorio che si sviluppa su più piani anche sotterranei meriterebbe più di un’osservazione: prima fra tutte che il turismo che lo anima è conosciuto e quindi al suo ingresso si può prendere una cartina gratuita che aiuti a districarsi fra un Vincenzo Bellini e un barone Haussmann, fra un Oscar Wilde e un Jim Morrison, fra una Maria Callas e una Colette sparsi fra i tanti sconosciuti ai più tumulati in mezzo al jet set dei defunti.
La seconda osservazione è che uno si aspetterebbe sepolture molto più pompose e riconoscibili e invece molte delle tombe non hanno niente che le renda immediatamente visibili. Ci sono anche le eccezioni, ovviamente, ma il modo migliore per riconoscere la tomba di personaggio famoso, ho realizzato, è cercare fiori o ornamenti estemporanei. In alternativa, se si stanno cercando Oscar Wilde o Jim Morrison, seguire il flusso di persone.

La terza osservazione riguarda il rapporto delle persone col luogo. Sono andata in una giornata soleggiata, una giornata estiva delle estati che ricordo io, dove al sole fa caldo ma l’ombra dà immediatamente sollievo. Tutto il cimitero è disseminato di panchine e fontanelle d’acqua ma c’è un luogo, in cima a una scalinata, che sembra quasi una piccola piazza e come tale si presentava: panchine vista panorama, panchine vista interno, persone che leggevano, persone che si riposavano, forse addirittura persone che mangiavano.
Ma basta col Père Lachaise, ho fatto il mio giro, ne capisco il fascino ma il passaggio in mezzo alla morte non fa per me in questo momento. Una volta uscita ho percorso le poche centinaia di metri che mi separavano dalla casa che Valentina e Clémentine (che avevo conosciuto tramite un’amica durante il mio passaggio di giugno) stanno impacchettando prima di lasciare a settembre. Ho trascorso un paio d’ore a chiacchiera nel loro piccolo giardino prima di raggiungere mia zia e mia cugina a Parigi per il fine settimana. Ecco, loro sono l’esempio perfetto di come si possa venire dalla stessa famiglia, volersi molto bene ma essere agli antipodi nel modo di approcciare una città. E’ stato buffo ascoltare i loro racconti dell’ottimo caffè gourmand e confrontarli coi miei estasiati resoconti del ristorante curdo; decisamente diversi gli approcci miei e di mia cugina di fronte all’antipasto ordinato al ristorante in cui siamo state per cena (io mi ci sono buttata con famelica curiosità, lei con lento timore salvo poi scoprire che le piaceva); probabilmente diverse le anime della città che ci affascinavano, loro prese dalla grandeur francese, io dal mescolarsi di culture in un unico posto.

Ora, è vero, io ormai non ricordo neanche più quante volte sono stata a Parigi ma se c’è una Parigi che non mi affascina per niente è quella dell’opulenza, del turismo di massa, di foto un po’ tutte uguali col dito sulla punta della Torre Eiffel. In questo momento sono alloggiata nell’ottavo arrondissement, in una strada ideale per chi vuole dormire perché è silenziosissima, ma mi manca la vivacità di certi angoli in cui sono passata in questi primi dieci giorni. Ho l’impressione di essere nella Parigi bene, ricca e forse anche un po’ noiosa. Certo, forse non la cambierei con quel che ho visto uscendo dalla metro a Aubervilliers/Quatre chemins ma, mentre la seconda mi ha affascinato, terribilmente, per tutte le storie che può sicuramente raccontare, quella che mi circonda mi sembra un po’ spenta.
L’uscita dalla metro all’incrocio di Quatre Chemins è un’esperienza da fare solo se si è affascinati dalla Parigi sporca, piena di vite in cerca di speranze non sempre ben riposte. I volti che popolano i vagoni della metropolitana per raggiungerla dovrebbero già dare precise indicazioni: arabi, africani, asiatici. Volti stanchi, alcuni scavati, unghie delle donne inutilmente lunghe e ricoperte di smalti dai dubbi colori. Corpi ammassati in treni senza aria condizionata e che non si svuotano via via che ci si avvicina alla banlieue, rimangono pieni perché nessuno scende prima. La pubblicità di pompe funebri in ideogrammi affissa nei corridoi della stazione già lascia intendere che si sta per trovare una zona ad alta immigrazione.

Io mi sono trovata in zona perché stavo cercando la Cité Fertile, uno spazio di aggregazione che punta alla riconversione ecologica. Ricavato nei capannoni merci della stazione di Pantin, ci sono vari campi per giocare alla popolarissima pétanque (le bocce), un ristorante che credo funzioni solo a pranzo, vari baracchini per bere e mangiare (ma questi secondi sospetto aprano solo il fine settimana), sedie a sdraio, spazi per altre attività come una sezione di riparazioni per biciclette, gratuita per i residenti di zona e a prezzi modici per gli altri. Io sono andata incuriosita dal luogo, abbastanza certa che di martedì pomeriggio avrei trovato ben poco ma il posto è bello e immagino che pieno di gente sia anche gradevole. Non sono stata a lungo, il tempo di prendere una limonata per rinfrescarmi dall’insostenibile caldo afoso che si è abbattuto sulla città nella prima metà della settimana, scrivere un po’ sul mio taccuino e poi rientrare verso casa vista la scarsa conoscenza che ho del luogo e l’impressione di posto poco sicuro per una donna sola che mi ha accompagnato mentre dalla metro mi dirigevo alla Cité Fertile.
Il percorso non è lungo, circa 600 metri, ma i bar, i ristoranti, i locali di qualunque genere che fiancheggiano la strada erano tutti popolati esclusivamente da uomini, spesso in gruppo e, proprio oggi, leggendo un annuncio di una casa in affitto proprio in quella zona lì, fra i contro ci veniva inserita la scarsa sicurezza della zona se sei una donna sola. Ciononostante avrei voluto fermarmi, osservare quelle vite, chiedere, scoprire cosa guidava quelle persone, come si mangiava nei loro locali, cosa si pensava. Ma, donna sola che non conosce i codici che probabilmente animano quelle comunità, sono passata oltre, di nuovo verso la metro e verso una città più familiare.
Potrei scrivere altro, dell’invasione di formiche che ho dal giorno dopo il mio arrivo, delle uova vendute già scadute, dello yogurt praticamente sulla stessa strada, delle chiavi che ruotano al contrario nelle serrature francesi, delle temperature caldo umide che raggiungono certe linee della metropolitana e come faccio a vestirmi se tutto ciò che ho in stile un po’ più parigino è a maniche lunghe, delle mascherine che secondo me le portano solo i turisti e neanche tutti, ma forse non c’è niente di particolarmente interessante in tutto ciò. Ho però messo in atto dei tentativi per conoscere persone. Il primo: mi sono arresa a Tinder. Il secondo: sono andata nella libreria storica della comunità LGBTQAI+ (sperando di aver ricordato tutte le iniziali) e, anziché in una birra, ho investito in un libro (che comunque costa poco di più). Ho chiesto consiglio, un libro francese non troppo complicato, spiegando la mia situazione di persona arrivata in periodo dell’anno infelice che deve fare pratica con la lingua ma che non sa dove incontrare persone visto che ancora non lavora. Il libraio e la libraia si sono consultati, hanno cercato, hanno trovato e per conoscere persone… « Riprova dopo metà agosto. O ritorna in libreria a comprare altri libri ».

Così ho preso il mio libro e l’ho portato al Parc des Buttes-Chaumont, ossia una delle aree verdi più grandi della città, pensata da Napoleone III per i quartieri popolari di Parigi est. Centinaia di persone sdraiate nell’erba a chiacchierare o a leggere, a passeggio per i suoi vialetti, addirittura un rinfresco di quel che pareva un matrimonio. Ho camminato un poco prima di sedermi su una panchina. Il tempo di leggere le prime pagine e la pioggia mi ha invitata a desistere. Ma mentre io andavo verso la metropolitana, tante persone rimanevano esattamente dov’erano: sedute per terra a godersi il parco.
Per quanto riguarda Tinder, invece, credo che l’applicazione meriterebbe uno studio antropologico e le dedicherò il tempo che si merita in un altro post.
Chiudo qua, con il consiglio che mi ha dato un amico di un’amica che ha raccolto la mia bottiglia in mezzo al mare: « Il lavoro a Parigi è una piramide, smetti di inviare curriculum per la base. Fino al 15 agosto qua non succede niente, vai in vacanza, parla francese, impara a usare Excel, quando torno a Parigi ci vediamo e sistemiamo il tuo CV per puntare un po’ più in alto dalla base. Parigi è piena di possibilità per chi ha voglia di puntare sul sapere. »
* Non so bene perché sia così legata a Guillaume Apollinaire. Lo studiammo a scuola, ovviamente, e nelle modalità d’esame particolari del mio liceo, il giorno dell’orale pescai proprio la sua Le pont Mirabeau.