Inizio a scrivere in un momento insolitamente brillante seppure oggi non sia uscita di casa se non per prendere dieci minuti di sole dopo pranzo. Ma oggi ho rimesso un po’ in moto quel movimento incessante che porta alla creazione di contatti e legami che avevo lasciato un po’ in disparte nelle ultime settimane e nel fare c’è sempre una dimensione positiva. Sarà che sono sempre stata quella del riflettere ma in questo 2022 mi sono trovata a scoprire lo scoppiettante piacere dell’azione e l’energia vitale che porta con sé.

Come conseguenza di questo agire mi trovo quindi a ridere ricordando come nel post precedente (peraltro uno dei miei preferiti finora) abbia fatto una dichiarazione d’amore nei confronti dell’Italia e che abbia dovuto fare ricorso a tutta la mia capacità redazionale per non usare la frase “l’Italia è il paese che amo”. Oppure mi diverte immaginare un racconto breve intitolato La leggenda di Châtelet dove una persona rimane intrappolata nella più grande stazione della metropolitana di Parigi vagando come un fantasma alla ricerca dell’uscita. Racconto chiaramente basato su una storia vera: la mia e quella di tutte le persone che pensano che sia possibile uscire rapidamente a piedi da quella stazione. Domenica scorsa, infatti, ho imparato la regola aurea della metro locale: si scende a Châtelet solo se si deve fare un cambio o se si è fuori e si deve andare a prendere un treno sotto ma mai mai mai scendere definitivamente a Châtelet. Credo di aver impiegato dieci surreali minuti di avanti e indietro prima di prendere un’uscita a caso e trovarmi e infine rivedere il cielo.

Domenica scorsa infatti, un po’ annoiata dal fine settimana casalingo (del resto, uscire in genere significa spendere e, tanto per capirci, in genere una birra media costa 8 euro) dedicato come sempre ormai a orientarmi nella ricerca di lavoro (sì, ma quale lavoro?) e casa (sì, ma con quale dossier e a partire da quando che ancora non c’è una data definitiva per lasciare lo château*?), mi sono preparata e, con un piede sulla soglia, ho dovuto fare marcia indietro perché il sole del mattino si era trasformato in pioggia, nello specifico rovesci sparsi. Indi per cui ho ritirato la mia biancheria stesa e sono partita per il centro città. La stazione di Châtelet per l’appunto ma anche poi attraversare la Senna, costeggiare Notre-Dame in cantiere chiedendomi se, in fondo, quando la costruirono per la prima volta non doveva essere poi così diverso per i parigini gettare l’occhio sulle sue impalcature. Mentre camminavo a sentimento, con una direzione solo indicativa, ancora una volta mi sono trovata a sentire il senso del mio essere qui, forse in quel momento un senso puramente estetico e istintivo che non teneva conto delle difficoltà evidenti che presenta la città ma pur sempre un senso.

Ho raggiunto quindi il Pantheon, espressione evidente della grandeur francese e al Pantheon sono stata raggiunta dalla pioggia. Ciononostante non mi sono fermata in un café (modalità risparmio on) ma ho continuato verso quella che era la mia meta iniziale: i jardins du Luxembourg che, data la situazione, non mi hanno permesso di sedermi in una delle tante sedie che caratterizzano i giardini francesi. Ho quindi solo attraversato il parco e continuato a camminare, vedendo intorno a me cambiare la città come cambiano gli arrondissement, quelli in cui mi piacerebbe vivere e quelli che no, non credo facciano per me. Mi sono trovata ad attraversare nuovamente la Senna, questa volta in faccia al Louvre e alle Tuileries, non pioveva più e il crepuscolo dopo la pioggia regalava uno di quei quadri che sembrano ricordarci cosa sia il potere dell’estetica.

Ora che riprendo a scrivere invece è oggi, sabato, già da ieri pomeriggio il sole è stato sostituito da grigio e pioggia. Ho fatto un po’ di pulizie in casa e continuo a scrivere perché in realtà non mi sono ancora svegliata del tutto e non riesco a rispondere lucidamente ai messaggi di alcune delle persone parte del giro di contatti a carattere lavorativo che ho iniziato a creare da quando sono arrivata. Perché se è vero che questa settimana nel corso di una videochiamata con alcune amiche riunite per il compleanno di una di loro ho avuto il primo vero momento in cui mi è mancata un po’ casa, è anche vero che al momento non riesco ad immaginarmi in nessun altro posto se non quello in cui sono ed è bene consolidarlo.

Giovedì sera sono tornata nella sede del circolo PD di Parigi. Mi sento come se da quando sono partita, da quando ho lasciato un lavoro in cui del PD vedevo soprattutto le tante piccole beghe interne che non mi appassionavano per niente, la politica avesse di nuovo acquisito interesse. Sono andata per ascoltare, per prendere contatti, ho finito pure per parlare, per dire la mia** davanti a un gruppo di una ventina di persone anziché in timidi tête à tête post incontri. Poi ho preso (e immediatamente usato) pure contatti ma intanto avevo partecipato.

Credo che la dimensione partecipativa sia quella che più mi salta all’occhio. C’è una canzone uscita ormai vent’anni fa che mi ha accompagnata spesso nel tempo, una canzone che più di una volta mi sono canticchiata sentendomene la protagonista. Si tratta de Il cronista dei Mambassa, in particolare questi versi mi sembravano racchiudere la mia incapacità di partecipare veramente e la conseguente frustrazione.

sono l’unico che non ha mai parlato 
me ne stavo ad osservare 
e annotavo su un quaderno le mie impressioni 
e ogni momento che mi porto dentro riesce ancora a farmi male 
per ogni giorno non vissuto ho pagine da raccontare 

Penso che il percorso che ho iniziato a fare nell’ultimo anno segua il filone del meglio un rimorso che un rimpianto, oppure ogni lasciata è persa. Del buttarsi (sempre con un minimo di criterio eh) e poi vedere cosa succede ma ecco, se c’è una cosa che ho davvero imparato è che bisogna fare, chiedere, non stare ad aspettare che le cose avvengano. Se penso a quanto ho chiesto a persone per me sconosciute da quando sono arrivata mi sembra incredibile. Io, che ho sempre paura di disturbare anche le persone che conosco, mi son trovata a mandare messaggi a perfetti sconosciuti chiedendo informazioni, aiuto, suggerimenti e ognuna di queste persone è stata contenta di farlo.

Dopotutto credo di poter inserire anche questo in tutto il percorso che ho iniziato a fare un anno fa, da quando mi sono lanciata in un gruppo di simpatiche pensionate greche. Poi ho proseguito con qualche tappa di un pellegrinaggio a scatola chiusa per infine trovarmi a portare la mia voglia di imparare e conoscere quel che non conoscevo in giro per la Francia. E’ stato uscire dalla mia comfort zone, da quel che sapevo di me per scoprire quel che non sapevo, che io ero me e non la mia famiglia o il mio datore di lavoro, che avevo cose da dire, da dare, che una sciocchezza detta o fatta non facevano crollare tutta l’impalcatura di quel che sono. E’ stato scegliere la mia strada e non farmi trascinare dalla corrente.

La me che è uscita dall’atelier sulla valorizzazione della propria immagine personale che ho fatto la scorsa settimana è una persona rigorosa, attenta e riflessiva come già si sapeva ma è anche ottimista, positiva, divertente, curiosa, partecipe, estremamente sincera. E’ stato in questi giorni che ho ripreso in mano una canzone che ho scritto ormai due anni fa, quella che mi ha fatto passare la paura dell’italiano come lingua in cui scrivere di me. All’epoca mi trovai a riflettere su come l’immagine che davo (e forse veniva percepita) all’esterno era così diversa da tutto quello che poi ero, magari dopo un po’ di alcol. Ecco, mi sembra che lo scollamento tra queste due parti sia sempre meno evidente, non solo agli altri ma soprattutto a me stessa.

Chitarra trovata in casa, più strati di abbigliamento per proteggermi dal freddo umido, inquadratura acdc, accordi dimenticati sul secondo ritornello, pure una parola nella strofa. Da Parigi è tutto.

Sembravo una donna
quasi invisibile
Immaginari cappi al collo
Condotta irreprensibile
Grande la sorpresa
Quando mi dimostravo
Accondiscendente
Allegra e divertente
Non nel solco solito
Dei sei sempre triste
Due di picche assicurati
Un super io che resiste
Eppure le battute
Non hanno mai smesso
Sei disadattata
Sei una disagiata

Intanto alle feste io ballavo
E sudavo via il grigio da me stessa
Un angelo azzurro
Portava il suo messaggio
Stasera lascio andare
Stasera mi diverto

Era solo un gioco
E al gioco io so stare
Mi sono adattata
All’idea che si ha di me
Un po’ noiosa
Un po’ pesante
Insoddisfatta
Un po’ legata
Ti ricordi troppe cose
Sei pure complicata
Zimbello del quartiere
Delle notti in bianco
Le cascate di parole
E quel parlare stanco
Compleanni matrimoni
Minutaglie situazioni
Un archivio sterminato
E poi ti perdi le emozioni

Intanto alle feste io ballavo
E sudavo via il grigio da me stessa
Un angelo azzurro
Portava il suo messaggio
Stasera lascio andare
Stasera mi diverto

Era solo un gioco
E al gioco io so stare
Ci credevo pure io
E raccontavo i miei difetti
Mitigando le parole
Le collane di concetti
Le perle negli abissi
E quel che non ti aspetti
Ma adesso ho capito
Che questa sono io
La mia normalità
È una tra le tante
Diversa non so essere
Neanche mi interessa
Tanto alla fine
Vivo solo per me stessa

* Non ricordo se l’ho specificato in qualche post precedente ma è il modo in cui inquilini, ex inquilini e amici chiamano la casa in cui sono adesso

**In sintesi: il PD è noioso, che le beghe interne non sono affatto interessanti per i potenziali elettori, che non sa comunicare e deve capire che siamo in un periodo storico in cui bisogna saperlo fare per essere ascoltati. Che le persone della mia età dicono che votano PD a bassa voce e hai voglia a dire che il partito ha tenuto perché non ha perso troppi voti ma se ha preso una vasta quota di quei voti fra gli over 65 forse bisognerebbe pensare a come sostituire quegli elettori che per forza di cose piano piano spariranno. Soprattutto, parere molto personale, credo che per un fenomeno fisiologico il pericolo del fascismo non rappresenti quasi niente alle persone che non hanno vissuto né il fascismo mussoliniano né lo scontro politico degli anni di piombo, e quindi non ha molta presa quindi, anziché sventolare il pericolo del fascismo e dire quello che il PD non è, perché non si inizia a parlare di quello che il PD è? Insomma, non ditemi contro cosa siete, ditemi PER COSA siete. Che poi è lo stesso principio di un curriculum, non raccontare cosa non si è bensì cosa si è.

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