C’è una frase abbastanza abusata ma che sintetizza meglio di tutte le altre come si esce da un concerto di Bruce Springsteen: il mondo si divide in due categorie, quelli che amano Springsteen e quelli che non lo hanno mai visto suonare dal vivo. Ecco, io, al di là della pandemia, vado a molti meno concerti di quelli a cui vorrei andare e, soprattutto, spesso vedo gli stessi artisti più volte, ma un centinaio e passa di spettacoli dal vivo vari li ho visti e una minima idea di quel che succede su un palco ce l’ho, posso quindi garantire che mai frase andò più dritta al punto. Sono anche un po’ di parte, è vero, perché quando avevo 8 anni i miei genitori, stanchi di Cristina D’Avena e decisi a farmi ascoltare qualcosa oltre i Blues Brothers che avevo in loop ossessivo nel walkman, aggiustarono il lettore cd e mi diedero l’album Live 1975-85 di Bruce Springsteen, evento scatenante una storia d’amore che ancora oggi mi fa sentire in un luogo sicuro come quando avevo 8-9 anni e, spensierata e armata di racchetta a tracolla, imitavo il mio dio davanti allo specchio. Quando il 10 giugno del 2012 mio cugino è uscito dallo stadio di Firenze con anche le ossa bagnate dal diluvio universale che si era riversato sulla città poco dopo l’inizio dello spettacolo e gli occhi scintillanti dopo un concerto epico, invece, non era di parte. Lui conosceva poche canzoni e la mia passione atavica e si era trovato il biglietto in mano quasi per caso; la sua faccia intorno alla mezzanotte, dopo una giornata cominciata alle 7 del mattino, portava tutti i segni di cosa possa accadere durante un concerto di Springsteen.

E’ anche difficile limitare il racconto di cosa significhi un concerto del Boss alle fredde parole scritte, ci vogliono gli occhi, le vibrazioni della voce, lo stato di eccitazione per cui rimarresti ben oltre le tre ore/tre ore e mezzo di durata media di un suo concerto per rendere pienamente l’idea. Se già il fenomeno “musica dal vivo” andrebbe studiato per comprendere come possa crearsi una forza quasi sciamanica tra una massa di sconosciuti, un concerto di Springsteen, nello specifico, non è un semplice concerto, è un’esperienza mistica, catartica, capace di risvegliare la groupie adolescenziale che sonnecchia in ogni vecchio e nuovo adepto. Non c’è altra spiegazione sennò davanti  alle schiere di fan di tutte le età (e quando dico tutte, intendo veramente tutte) in fila anche fin dalla sera prima per aggiudicarsi l’accesso al pit davanti al palco. Mia madre, tanto per fare un esempio, è una che al concerto di Firenze si è presentata allo stadio alle 7.30 del mattino e nel corso della serata pareva una ragazzina che cercava in ogni modo di avvicinarsi al palco sempre di più, partendo già da una distanza dalle transenne di pochi metri. Io, che generalmente sono una persona composta, entro in uno stato di trance da idolatria adolescenziale non solo durante il concerto ma anche dopo anni, riguardando i video su youtube, con tanto di esaltazione se li sto mostrando a qualcuno o sorrisi e occhi lucidi se sono nella mia solitudine.

Springsteen lo guardi e pensi che nella vita non avrebbe potuto fare altro. Ogni suo concerto è una sorpresa, lui e il suo gruppo, la mai troppo celebrata E Street Band, sono preparati su un centinaio di canzoni, generalmente metà scaletta cambia da un giorno a un altro e non è neanche detto che la scaletta buttata giù poco prima di salire sul palco sia poi quella effettivamente suonata. Gli ultimi tour a cui ho partecipato, poi, (2009, 2012, 2013, 2016) addirittura prevedevano una fase di richieste dal pubblico in cui il Boss sceglieva due-tre cartelloni dal pubblico, li prendeva, li mostrava al gruppo e poi li suonavano, così, come un jukebox umano.

Una settimana dopo il suo passaggio per lo stadio di Firenze, nello stesso luogo si presentò Madonna*, col suo impianto scenograficamente spettacolare ma con il playback che ad un certo punto si inceppò momentaneamente e con la sua faccia mentre toccava gli spettatori delle prime file riluttante e imbarazzata. Il confronto con Springsteen per me fu impietoso. Da una parte l’impianto scenografico e il distacco, dall’altra prevalentemente musica e la necessità fisica di mescolarsi col pubblico. Perché questo è quello che Springsteen trasmette, come se una parte della energia che gli permette di reggere ancora concerti-maratona venisse proprio dal tocco degli spettatori. Vedere per credere e sì, pioveva veramente così tanto e sì, Bruce ha passato metà del concerto sotto la pioggia senza risparmiarsi, anzi, al contrario, alimentando ulteriormente il clima di festosità ed estasi collettiva. Perché questa è l’impressione che ti dà, di averti invitato a casa sua per una festa con il preciso intento di farti divertire e farti sentire parte integrante della serata, anche se sei una su sessantamila. E ci riesce benissimo.

Son concerti, quelli di Springsteen, che fanno dell’interazione e unione tra musicisti e spettatori una delle colonne portanti. Che si tratti di richiedere un brano o che si tratti di prelevare un bambino dalle prime file, metterlo sul palco con microfono in mano e cantare il ritornello di Waitin’ on a sunny day. O addirittura che si tratti abbattere definitivamente la distanza pubblico-cantante con quel che succede durante Dancing in the dark durante la quale spettatori delle prime file dai cartelloni più significativi (a insindacabile parere del Boss) vengono scelti e portati sul palco per una danza, talvolta addirittura chitarra e microfono in mano. Ma il vero elemento di stupore di tutto ciò è l’assenza di invidia nei confronti di chi è stato scelto e anzi, ha un che di commovente uno stadio che sottolinea la fortuna di chi si trova inaspettatamente sul palco senza gelosia bensì con incitamenti, urla e divertimento.

Ha un che di magico il modo in cui un semplice uomo riesce a creare questo stato di benessere e gioia collettiva da più di quarant’anni a questa parte; il modo in cui con una voce e una chitarra sia capace di distendere le pieghe delle fatiche quotidiane; il modo in cui concerto dopo concerto, disco dopo disco, è diventato famiglia di milioni di sconosciuti. Me, you, them, everybody, everybody.

* Nessun giudizio negativo su Madonna è stato espresso, trattasi di spettacolo sicuramente affascinante e che avrei gradito ben di più fossi stata in grado di vedere se non proprio il palco, almeno i mega schermi, invece delle schiene degli spettatori davanti.

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