Ho scritto l’ultimo post sabato sera, dopo la mia prima vera uscita post Covid e prima della mia visita a quella che fino a fine ottobre sarà la mia casa perché sì, fino a fine ottobre ho trovato una casa. Si trova a Les Lilas, uno dei tanti comuni confinanti con Parigi e separati dalla grande città dalla périphérique, la circonvallazione, e da tutto il peso psicologico che per taluni pone questa separazione. In realtà la casa è situata a cinque minuti dal capolinea della metropolitana e in circa quindici-venti minuti di metro si è in pieno centro città, nello stesso tempo a piedi si può varcare il confine comunale e dire di essere, in effetti a Parigi. Magari non sarà la Parigi da cartolina ma è a tutti gli effetti la Ville Lumière.

Les Lilas è una zona principalmente residenziale che con la crescita della popolazione ha visto cambiare la sua architettura, da maisons, case con magari un piccolo giardino, a grandi casermoni che si sviluppano anche su trenta piani. E’ una città in cui l’estrazione è principalmente popolare ma che negli ultimi anni è stata sottoposta anch’essa ad un processo di gentrificazione che ne ha fatto aumentare i prezzi. Tutto questo me lo racconta Giorgia, una delle inquiline, mentre chiacchieriamo in giardino domenica pomeriggio. C’è solo lei, gli altri due, una coppia franco-spagnola, sono ancora in vacanza e la ricerca di nuovi inquilini per gli ultimi due mesi di convivenza nella casa è toccata a lei. Lei che peraltro è pure in subaffitto, da un anno e mezzo ma pur sempre in subaffitto. Ma in fondo, mi dice, la particolarità di questa casa è che è servita come punto di appoggio temporaneo o porta di ingresso nella città per un gran viavai di persone, lei ci è solo rimasta un po’ più a lungo. Tra due mesi il titolare del contratto di affitto e la compagna lasceranno la casa perché è stata accolta la loro richiesta di alloggio popolare e Giorgia non ha voglia di sobbarcarsi la formazione di un nuovo gruppo di inquilini con cui rilevare il contratto dunque, ognuno andrà per la sua strada. Lei col suo nono trasloco da quando ha messo piede a Parigi dodici anni fa, io con il quarto in pochi mesi.
La casa è una vera e propria casa, su due piani e con un piccolo giardino esterno. Di nuovo ci sono solo gli infissi, il resto risente tutto del tempo, delle chiavi che non girano bene, dell’umidità accumulata fra le sue mura, del mobilio non esattamente contemporaneo, ma ha anche, per me, qualcosa di molto familiare. In fondo, è un po’ come essere a Bricherasio* ma, al posto delle mattonelle, nelle stanze c’è il parquet e la casa è ovviamente più utilizzata e pulita più spesso. L’atmosfera è molto rilassata e comunitaria, senza regole militaresche riguardo la gestione delle pulizie. Talvolta si mangia insieme, talvolta ognuno si fa gli affari propri. Per me è la prima vera esperienza di coinquilinaggio perché, per quanto durante il viaggio in Workaway condividessi la casa con estranei, un conto è aprire volutamente la propria casa a un’estranea con delle precise volontà di scambio culturale, un altro è fare la propria vita e trovarsi a condividere certi spazi.
Da quando sono arrivata lunedì pomeriggio ho principalmente cercato di prendere confidenza con la casa e ho preparato un altro colloquio. Ho fatto la spesa sconvolta dal costo di tutto e ho ceduto al burro salato dopo tre mesi di astinenza (e ho capito come mai avevo deciso di non toccare burro dopo il mio rientro in Italia, almeno quello salato tocca picchi di dipendenza). Ho fatto quattro passi nei dintorni, tra case con tutta una loro storia e palazzoni la cui anima sta solo nei corpi di chi li abita. Sono andata a trovare Giorgia nel negozio di articoli sfusi in cui lavora a Bagnolet (altro comune dalle caratteristiche simili alle Lilas) e ho resistito fortemente alla tentazione di comprare tutto.




Oggi, avendo fatto il colloquio ed essendo di umore un po’ grigio viste le difficoltà a trovare una stabilità lavorativa e abitativa, mi sono presa il pomeriggio libero. Ho fatto una passeggiata fino al parco della Villette, il simbolo dell’ingiustizia per gli iscritti del mio anno al liceo linguistico che ho frequentato: di solito in quarta superiore si effettuava lo scambio con un liceo francese, noi non avemmo il piacere, noi andammo in gita a Parigi a seguire dei corsi alla Cité des sciences et de l’industrie situata alla Villette, altra zona periferica di Parigi. E dico “seguire dei corsi” sulla base di un messaggio di una compagna di classe, io di quel luogo ricordo solo l’orrido pappone di pasta scotta e scondita da accompagnare a un formaggino che ci diedero alla mensa.
Il museo è situato all’interno di un parco in cui si trovano sale da concerti, giochi per bambini, attrezzi per il fitness, il canal de l’Ourq che porta ben fuori Parigi, il conservatorio cittadino, vari prati in cui distendersi, bar in cui dissetarsi o comprare un gelato. Anziché entrare nel museo ho preferito esplorare tutto ciò che era all’aria aperta visto che domani è prevista pioggia e che l’autunno qua è già in arrivo: al sole si sta bene ma in casa è già tempo di maniche lunghe.


Trovandomi in una zona periferica e popolare, le strade sono meno curate e più sporche, a tratti pure bruttine, ma brulicano anche di vite e di personaggi dall’aria verace. No, non credo di essere in una zona da cartolina, addirittura Parigi sembra lontana quasi quanto lo era da Bussy-Saint-Georges, ma le sue strade hanno una vivacità che solo la vita reale può regalare.
*Bricherasio è un paesino di poco meno di 5000 abitanti in Piemonte, ignoto ai più ma inscindibilmente legato alla famiglia di mia nonna e quindi anche alla mia, in senso allargato. Ne avevo scritto a margine nella serie delle Vite che sono la mia, e più precisamente in questo post.