Dopo un fine settimana così vitale quanto quello appena trascorso in cammino con Malie era difficile pensare di viverne uno altrettanto pieno di vita. Invece è capitato, per quanto diverso. E’ cominciato il giovedì pomeriggio con una toccante commemorazione pubblica della Nonna Giulia a Scandicci ed è continuato poi con un viaggio di buona parte della famiglia (e con buona parte intendo tutti gli 11 figli, alcuni con famiglie al seguito) a Bricherasio perché il sabato mattina, come da volontà della nonna, avremmo proceduto alla tumulazione nella tomba di famiglia al cimitero monumentale di Torino.

Bricherasio è un paesino di nemmeno 5000 abitanti ai piedi della Val Pellice, a circa 50 km da Torino. Bricherasio è forse noto agli appassionati di calcio femminile che si sono trovati a leggere la storia della bricherasiese Barbara Bonansea dopo il suo exploit ai mondiali del 2019. Bricherasio è un altro di quei luoghi che chiamo casa.

Credo che Bricherasio sia pressoché sconosciuta a chiunque non vi sia passato nei pressi, per la mia famiglia invece è una sorta di locus amoenus a cui tornare sempre con piacere. E’ lì infatti che il nonno di mia nonna aveva comprato una grande villa a inizio Novecento ed è lì che nel secolo successivo si sono sempre ritrovate le varie discendenze, quella maschile in villa, quella femminile nella vecchia filanda adiacente la villa, più spartana negli ambienti ma sicuramente piena di un calore umano che l’ha resa un crocevia di parenti e amici per decenni. Talmente crocevia che a pensarci bene presenta un tratto che trovo anche un po’ inquietante: a Bricherasio non conosco nessuno al di fuori della mia famiglia. Tra quelle mura si mescolavano storie italiane, americane, svizzere, parenti magari visti due volte nella vita ma che erano percepiti comunque come parti di una stessa ascendenza ed erano talmente tante che ci bastavano.

In filanda bisogna un po’ adattarsi, non è perfetta ma la vita comunitaria che si svolge al suo interno la rende più piacevole che altro. E’ davanti al camino del salotto che ci si può trovare a chiacchierare fra cugini di ogni età fino a notte inoltrata o a suonare qualunque cosa (e quando dico qualunque cosa intendo anche pianole giocattolo, cucchiai e grattugie) con zii, nipoti, nonni, cugini di ogni grado. Nella bella stagione invece è il prato davanti alla filanda che raccoglie giocatori di calcio, pallavolo, volano ma anche rilassanti sedie a sdraio o amache. Oltre ad ampie tavolate in cui la conversazione tende sempre al brillante, al far ridere. A rendere il luogo ancora più ameno, Bricherasio si trova a una decina di minuti da due luoghi di perdizione: la Tominera e la fabbrica della Caffarel, formaggi e cioccolata, più o meno i credi su cui si basa la mia famiglia.

Mi sento come se avessi appena scritto una brochure della pro loco ma devo dire che ogni mio passaggio a Bricherasio negli anni ha avuto un che di romantico. Le Alpi alle spalle, l’elegante villa davanti, il cibo buono, gli incontri coi parenti che anche se a volte passano anni il tempo non passa mai del tutto, le storie che vengono raccontate, preferisco concentrarmi su questo piuttosto che sui difetti che pur ci sono.

Torno però alla vita che è la mia, alla famiglia che si saluta a Scandicci il giovedì sera e si ritrova il giorno dopo in Piemonte dove chi è arrivato prima ha preparato una cena per le circa venti persone che mangiano nella sala del camino, alcuni al tavolo, altri sul divano e sulle poltrone perché non c’è abbastanza spazio per tutti. La mattina dopo si sposteranno tutti verso il cimitero monumentale di Torino per seppellire l’urna con la Nonna Giulia.

Il venerdì dopo cena non sono rimasta a lungo coi cugini che tiravano tardi, si erano messi a giocare a ping pong fuori e io avevo più voglia di farmi una doccia e andare a letto che altro. Bella la vita comunitaria ma purché rimanga dello spazio per se stessi. In quanto sola e in quanto fuori età per condividere le camerate coi cugini più giovani, ho vinto la piccionaia all’ultimo piano. Non avendo fatto troppo tardi mi son svegliata presto, ho fatto colazione al tavolino fuori con uno zio, rimanendo lì a lungo mentre via via si svegliavano gli altri. Un po’ come durante i giorni del funerale, neanche questa volta si aveva l’impressione di essere in una situazione triste. Le risate non mancavano, anche quando si trattava di prendere qualche fiore e qualche foglia di edera per rendere più carina l’urna fatta da mia zia che già di per sé era un’opera d’arte.

Il sabato mattina a Torino il cielo era grigio, al punto che quasi pareva che i marmi del cimitero si fossero mimetizzati con le nuvole. Eravamo in tanti anche intorno alla tomba, c’erano zii e cugini di mio padre, i fratelli e la sorella rimasti di mia nonna, qualche altro amico o parente. Su richiesta ho letto il testo che avevo scritto per la nonna, abbiamo cantato Amazing grace, abbiamo riascoltato l’estratto di canzone dei Whisky Trail (An irish moderato) che era ormai diventato la colonna sonora di questa dipartita col sul aquilone che va su, sempre più in alto, finché non scompare dalla vista. Poi la botola si è chiusa e noi siamo tornati a Bricherasio dove in giardino sono stati disposti tavoli ricoperti di salumi, formaggi, lasagne, torte salate, frittate, vini e sicuramente altro di cui mi sono dimenticata perché ad un certo punto, ora che ci penso, non so più cosa sia successo, solo che anziché aggregarmi alla partita di calcio (già mi vedevo ubriaca e infortunata dopo un anno di inattività) ho partecipato alla spedizione alla Caffarel e al supermercato.

La sera invece ci siamo spostati nel salone della villa dove le famiglie di alcuni fratelli di mia nonna avevano organizzato la cena a buffet. Potrei soffermarmi sulla scenografia di un buffet in un salone affrescato del Settecento ma andrò oltre, al momento in cui un gruppo di noi si è riunito intorno al pianoforte a coda in un angolo della sala. La compagna di mio cugino si è messa al piano, mio cugino al clarinetto e mio padre al mandolino, chi voleva poteva avvicinarsi e partecipare ai canti. La situazione aveva un che di paradossale, ci trovavamo nel salone affrescato di una vecchia villa settecentesca e il primo pezzo che abbiamo cantato è stato “Il sedici di agosto” sulle ultime ore dell’anarchico Sante Caserio, uno dei canti più iconici della nonna durante il quale quasi tutti i figli si sono avvicinati al pianoforte. Da lì poi è stata tutta un’improvvisazione, La bergera, Maremma amara, canzoni a me sconosciute richieste dalla sorella novantenne di mia nonna ma anche due cugini ventenni che cantano Parole parole di Mina e Alberto Lupo e se le parti maschili hanno suscitato più di un’ironia sul recitato, nel momento in cui è partito il ritornello tutti i partecipanti alla serata si sono ammassati intorno al pianoforte e hanno cantato all’unisono. E’ stata una serata ancora una volta all’insegna del piacere di stare insieme e di suonare e cantare per il solo piacere di farlo, senza preoccuparsi di essere perfetti, solo appassionati.

La serata però non era finita, c’era ancora tempo per farsi leggere i tarocchi da un amico di un cugino, improvvisare uno strumentale sul pianoforte scordato della filanda, bersi una tisana coi cugini davanti al camino, cantare spezzoni di canzoni del duo Mogol-Battisti con una cugina che ha poco più della metà dei miei anni, andare a dormire soddisfatta perché anche oggi non mi ero limitata ad esistere, avevo vissuto. Anche se non aprivo i social da una settimana (o forse soprattutto perché non lo stavo facendo) tutto quel che stavo vivendo era vero.

Già dopo la tre giorni di cammino in Toscana avevo provato a staccarmi dai social, dalle ore perse a scorrere apaticamente notizie che nel migliore dei casi non mi interessavano ma che nel peggiore mi ammantavano di malessere e malumore. Poi era morta la nonna ed ero ricaduta nella spirale delle vite riversate online, dell’agire col pensiero di cosa avrei potuto pubblicare su Facebook o Instagram. Di ritorno dal cammino laziale invece ero diventata molto gelosa delle cose che facevo, ero uscita dalla necessità di trovare sicurezza nella gratificazione social. Non mi interessava più mostrare che mi stavo divertendo, ero più contenta di divertirmi e basta. Tutto questo può esser considerato un controsenso dal momento che ho scritto fiumi di parole online su cosa ho fatto nei mesi in cui mi sono allontanata dalla necessità di condividere la mia vita online però penso che ripercorsa così in retrospettiva abbia la forma di un racconto e che fondamentalmente scrivo per me, non per dimostrare quanto la mia vita sia meravigliosa. Anni fa sulla bacheca di un’amica trovai una frase attribuita a un vecchio prete a cui André Malraux aveva chiesto cosa avesse imparato in tanti anni di confessioni. Il prete aveva risposto che aveva scoperto che gli adulti non esistevano e che le persone erano molto più infelici di quanto dessero a vedere. Non riesco a ritrovare la citazione precisa e a distanza di anni mi viene anche il dubbio che potesse essere una falsa attribuzione ma è una frase che mi è tornata in mente spesso nei miei sbandamenti social. Quello che posso dire ora però è che nel momento in cui mi sono staccata dai social e da quella sensazione che tutti (me compresa) dovessero dimostrare qualcosa e se non dimostrare qualcosa fare sfoggio della propria vanità, la qualità delle mie giornate è migliorata sensibilmente. Mentre cantavo dietro al pianoforte a coda nel salone della villa pensavo anche a questo ma soprattutto mi chiedevo: ma a chi non è qui con me, cosa gliene può fregare se qua ci stiamo divertendo? Cosa aggiunge alla sua vita? Cosa aggiunge alla mia sapere che qualcuno che non è qua sa che ci stiamo divertendo? La risposta era: fondamentalmente niente. Forse è un commento un po’ tranchant che mi interroga anche sul senso di questo post in particolare, più descrittivo che riflessivo però così mi sentivo.

Il giorno dopo è stato dedicato a una breve passeggiata fino al letto quasi prosciugato del fiume Pellice con la compagna di mio cugino, chiacchiere e all’ennesimo pranzo in giardino con tutta la famiglia allargata. Nel primo pomeriggio, chi in treno, chi in macchina, la maggioranza di noi è rientrata in Toscana.

Io ero attesa da un trasloco.

Un pensiero riguardo “Vite che sono la mia / 15

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