Siccome sono torrenziale prosegue dall’episodio precedente

A metà mattina ci siamo fermate in una ampia radura, vicino all’ombra di un castagno, e abbiamo fatto una sosta abbastanza lunga. Malie (ebbene sì, ha un nome, o meglio un diminutivo) doveva organizzare le tappe e il pernotto dei giorni in cui l’avrebbero raggiunta i genitori ed eravamo partite talmente presto a camminare che potevamo prendercela con estrema calma, oltretutto il giorno prima ci eravamo pure portate avanti sui chilometri da percorrere quindi non avevamo davvero alcuna fretta. Mentre lei leggeva la sua guida e faceva le sue telefonate, io me ne stavo distesa nell’erba con la testa appoggiata sullo zaino. Di tanto in tanto sul sentiero a qualche decina di metri da noi passavano schiere di ciclisti, alcuni ci salutavano, altri andavano oltre.

Sosta nei pressi dell’ombra del castagno, non sotto il castagno onde evitare la caduta di spinosi frutti sulle nostre teste scoperte

Il nostro punto tappa si avvicinava sempre di più. Malie notava quante poche persone ci fossero nelle poche case che incrociavamo in rapporto a quelle che aveva trovato nella parte toscana del cammino. Quelli che incontravamo erano quasi tutti uomini impegnati in lavori di piccola muratura o simili. Il sole era stato a quel punto coperto dalle nuvole e il cielo grigio creava un’atmosfera un po’ spenta. Ma forse eravamo anche stanche noi, in fondo eravamo sveglie dalle 4 e si stava avvicinando l’ora di pranzo. Abbiamo condiviso l’unico fico quasi maturo che siamo riuscite a trovare e, prevalentemente in silenzio, abbiamo continuato a camminare. A me i fichi manco piacciono più di tanto ma in quel momento quell’unico frutto condiviso fraternamente mi è parso nettare degli dei.

Siamo entrate ad Artena salendo lungo la strada provinciale e intanto confrontavamo la dimensione umana del paesino di montagna in cui la sua famiglia ha una casa con le dinamiche di un piccolo e collaborativo borgo che caratterizzano la casa in cui sono cresciuta. Non erano tanto diverse ed erano quelle che forse avevano salvato entrambe durante il primo lockdown dell’anno precedente. Erano le dinamiche di una piccola comunità di cui a entrambe era piaciuto sentirsi parte.

Abbiamo individuato l’ex convento in cui Malie avrebbe dormito la sera e poi siamo partite a cercare da mangiare.

Artena vecchia (che non abbiamo raggiunto) vista dalla città bassa

Faccio un piccolo inciso sulla questione del bussare alle porte per chiedere da mangiare e da dormire perché quando sono tornata a Firenze e l’ho raccontato, in molti hanno storto un po’ la bocca trovandolo assurdo, o qualcosa di cui vergognarsi. E’ curioso perché il mio primo pensiero quando Malie me ne aveva parlato a Firenze è stato un affascinato “che coraggio!”. Poi è comparsa la curiosità di provare anche io ma mai la vergogna. Certamente mi sono interrogata sulla contraddizione: se bussa lei che è donna, giovane e carina ma che potrebbe anche pagarsi il suo cibo è probabile che qualcuno le apra, se invece bussa qualcuno, magari un migrante, che ha veramente bisogno di mangiare, è più probabile che venga allontanato. La contraddizione era ovviamente ben presente anche a Malie ma io credo che in questo suo atteggiamento di curiosità e apertura verso l’altro ci sia anche un aspetto poetico. Siamo sempre più abituati a vedere gli altri come minacce e a rimanere in un microcosmo a noi vicino, questo bussare alle porte degli sconosciuti invece mi è sembrato il recupero di un tempo antico in cui ci si incontrava in carne ed ossa e si scoprivano mondi che altrimenti non si sarebbero mai visti. Ci ho visto gentilezza, amore, disponibilità, fiducia nel prossimo, umanità. Chi ti accoglie nella propria casa è predisposto, aperto all’incontro e quindi la base di partenza è già solida, chi dà è contento di dare, chi riceve è grato di ricevere. Entrare in casa di qualcuno così è anche aprire la porta su storie sconosciute ma non per questo meno vere.

Ad Artena abbiamo suonato tre campanelli diversi ottenendo risposte anche un po’ sgradevoli in alcuni casi, poi siamo arrivate al quarto: era un signore appena uscito da un portone, non ha detto niente ma ci ha portate in casa senza battere ciglio. Già sul pianerottolo si sentiva profumo di peperoni, dentro poi, dopo un minuscolo momento di smarrimento, la moglie non ha fatto una piega e ci ha messe a tavola con loro scusandosi perché non ci aspettava e allora non aveva molto da darci. Ebbene, noi abbiamo chiesto un pezzo di pane, loro ci hanno dato pasta al ragù, una braciola di vitella, peperoni arrosto, frutta, acqua, vino e la gioia dell’incontro. La conversazione è stata leggera, abbiamo riso, i nostri ospiti hanno fatto domande, si sono raccontati, si sono anche confidati e quando prima di andare via Malie ha detto che avrebbe pregato per loro, sono stati contenti e hanno chiesto se poteva pregare anche per una loro nipote. Lei ha chiesto di vedere una foto perché pregare per un volto è più semplice che pregare per un nome e la gratitudine ha continuato ad aleggiare nella stanza. Finito il pranzo ci siamo rimesse le scarpe e ci siamo preparate alla partenza. Prima di uscire dalla casa ho lasciato a Malie le barrette energetiche e le carote che mi erano avanzate e siamo salite in macchina. Ci restavano pochi minuti da passare insieme e poi chissà. Sapevo fin dall’inizio che quel momento sarebbe arrivato ma forse per la prima volta avevo deciso di pensarci solo appena prima di andare via godendomi ogni istante nel frattempo e non per le ore (o i giorni) di avvicinamento come mi capita magari con la fine delle ferie che poi passo le ultime 24 ore concentrata sulla partenza e non su quel che resta da vivere. Quindi ci siamo salutate, lei è entrata nell’ex convento e io mi sono fatta accompagnare alla vicina stazione di Valmontone dal nostro ospite. Riporto un brano del mio diario scritto in attesa dei treni che mi avrebbero portata a Firenze.

Con Malie ci siamo salutate davanti all’ex convento in cui dormirà stanotte. Un abbraccio stretto, qualche parola, un altro abbraccio e ciao. Un po’ in italiano, un po’ in francese in questa mescolanza continua che sono stati questi giorni insieme. Ci eravamo appena salutate e già ne avevo nostalgia. Eppure sento anche che le modalità e la durata di questo incontro erano quelle giuste. Un po’ come l’ospite che è come il pesce e dopo tre giorni puzza. Ecco, io mi sono sentita un’ospite del cammino nel senso quasi regale del termine. Mai mi sono sentita in difficoltà, neanche quando a tavola con chi ci ospitava avevo gli occhi con la forma di un qualche cuore. Enorme e che non chiedeva niente di più di quel che già aveva. Niente è stato uno sforzo, neanche camminare.
Sono contenta di aver avuto l’opportunità di vedere coi miei occhi e vivere in prima persona l’opportunità di incontrare l’altro di cui Malie mi scriveva nelle sue mail.
Ora che mi appresto a terminare questo scritto sono a Termini in attesa del mio treno per Firenze, ho alzato lo sguardo verso l’alto e tra le nuvole ho scorto un arcobaleno. Ho sorriso, sono una donna fortunata.

Il testo completo del diario l’ho inviato a Malie, in fondo c’era un post scriptum: avevo aggiunto l’elenco delle cose che mi erano piaciute della giornata. Mi aveva spiegato che lei lo faceva ogni sera per ricordarsi di cosa doveva sentirsi grata. A Sant’Agata, dopo la prima giornata di cammino insieme, mi ero sentita a disagio quando mi aveva chiesto se volevo partecipare all’elencazione insieme alla sorella, ora avevo sentito il bisogno di farlo anche io.

Se qualcuno me lo avesse detto quando Malie aveva suonato il mio campanello un mese prima non sono sicura che ci avrei creduto: conservavamo delle differenze ma avevo l’impressione che fossimo umanamente anche tanto affini. Che fosse per cose banali come l’ugual parere sugli animali domestici o aspetti più profondi come la comprensione dei reciproci momenti nel tempo del cammino, la curiosità per il mondo o l’assoluta franchezza e assenza di giudizio con cui ci siamo rapportate, era stato davvero semplice condividere il cammino, non avevo mai realmente sentito di dover compromettere una parte di me per poterlo fare.

Tornando a casa mi sentivo totalmente disarmata, serena, completa, colma di una sconosciuta pace e di gratitudine per tutto e l’oh la vie est belle! che Malie aveva esclamato dal nulla a Castel Sant’Angelo mi risuonava forte nelle orecchie. Ero anche piena di amore per Malie, ma di un amore senza bisogno e, soprattutto, senza necessità di reciprocità. Avevo visto come viveva in cammino, come si relazionava alle persone e non mi sentivo particolarmente speciale per aver condiviso un pezzo della sua strada, sapevo di essere solo una delle tante persone che aveva conosciuto. Sapevo anche che in cammino ci ero andata perché avevo scelto io di farlo ma che ci sarebbe potuto andare chiunque altro. Questa consapevolezza non mi pesava affatto, anzi, per me era stato un incontro che DOVEVO fare, talmente travolgente che non mi interessava il valore che ne aveva dato lei (ma so che come lei ha dato spunti di riflessione a me, io ho fatto lo stesso con lei e abbiamo entrambe condiviso il cammino con piacere), era stato importante per me e questo mi bastava.

Nei mesi successivi ci siamo sentite qualche volta ma poi quando si è in cammino tutto ciò che non è legato ai passi che devi percorrere arriva ovattato e sembra meravigliosamente lontano, in cammino si vive il qui, l’ora e l’immediato futuro della prossima meta. Sono sensazioni che conosco e capisco anche io e non mi cruccio dei suoi silenzi. Allo stesso tempo penso che le vite che incontra ogni giorno siano molto più interessanti della mia, se non altro sono totalmente nuove. Quando ci sentiamo io le chiedo a che punto è del suo percorso di cui sono curiosissima e le racconto sinteticamente le mie novità, lei mi manda qualche foto e qualche notizia più o meno in breve a seconda del momento* e prega per me. Le prime volte in cui me lo diceva la ringraziavo un po’ stranita, ora invece sono contenta, so che lei ci crede ed è un modo per pensare agli incontri di cui conserva un bel ricordo e alle persone a cui vuole bene.

Qualche volta sono andata a messa anche io, alla ricerca della stessa calma di quei giorni e della comprensione di un fenomeno che ancora mi sfugge. Conservo il mio spirito critico e la liturgia continua a lasciarmi perplessa in molti frangenti ma rimango dell’idea che interessanti spunti di riflessione si possano trovare ovunque, anche in una bella omelia. Un paio di volte ho pure provato a pregare per Malie come lei prega per me. Mi sono sentita un po’ scema lì per lì ma la calma e sconnessione dal mondo che sono venute fuori da quella che in fondo è una pratica meditativa mi hanno convinta a non rifiutarla per principio.

Magari continuerò a non credere in un Dio ma sono felice di aver cercato e trovato tasselli da portarmi dietro dai luoghi più inaspettati. Forse aveva davvero ragione il prete di Sant’Agata quando diceva che le persone si dividono in persone che cercano e persone che hanno smesso di cercare. L’incontro con Malie mi ha sicuramente dato una grossa spinta a (ri)entrare nella prima categoria.

Non so se ci rivedremo mai in futuro con Malie, non so neanche se saremmo in grado di mantenere un’amicizia al di fuori di un contesto molto particolare come quello del cammino ma non me ne preoccupo, sono già contenta di avere incontrato lei e il suo sguardo sul mondo. Ho visto che in cammino si porta solo l’essenziale, anche di se stessi, non ci sono sovrastrutture. Io non so niente di Malie nel suo quotidiano e viceversa, sappiamo solo quello che abbiamo vissuto in prima persona l’una dell’altra nei giorni trascorsi insieme e quello che ci siamo raccontate ed è per forza di cose parziale. E’ una sciocchezza ma neanche sappiamo come ci vestiamo, mi ha detto che le piace truccarsi ma non riesco neanche a immaginarmela tanto sono abituata a vederla acqua e sapone in shorts da trekking e maglietta. Al tempo stesso immagino che Malie faccia fatica a immaginarmi anche quasi signora quasi elegante dopo avermi vista in pantaloncini e maglietta da calcio per giorni.

Mentre mi appresto a terminare questo diario di quei giorni insieme mi vengono in mente i primi versi di una poesia di Guillaume Apollinaire che le ho recitato, rigorosamente in francese, quando ci siamo incontrate la prima volta e che lei non conosceva. Il mio ricordo non è morto, anzi, ma forse sono versi non tanto lontani da come mi sento.

Il pleut des voix de femmes comme si elles étaient mortes même dans le souvenir
c’est vous aussi qu’il pleut, merveilleuses rencontres de ma vie, ô gouttelettes!

Piovono voci di donne come se fossero morte anche nel ricordo
siete anche voi che piovete, meravigliosi incontri della mia vita, oh goccioline!

* Per chi fosse curioso/a: dopo che ci siamo separate Malie ha camminato fino a Bari (o almeno a un certo punto mi aveva detto che era a una decina di giorni di cammino da Bari). Da lì non so come si sia mossa e fino a dove, so che mentre camminavamo doveva decidere se raggiungere un altro pellegrino (che lei conosceva solo per messaggio) che in quel momento si trovava a Salonicco per poi percorrere insieme la Turchia o se camminare per tutta la Grecia da sola e arrivare in Israele saltando la Turchia, paese sconsigliato ad una donna non accompagnata. Quando circa un mese dopo le ho chiesto dove fosse mi ha mandato delle foto da Efeso, in Turchia, in compagnia di un ragazzo quindi deduco che abbia saltato la Grecia. La scorsa settimana era nelle montagne sopra Alanya, sempre in Turchia, consapevole che l’arrivo a Natale a Gerusalemme che si era prefissata come obiettivo fosse utopistico per vari motivi, tra cui la chiusura delle frontiere e il suo pass vaccinale in scadenza. Non se ne preoccupava però, alla fine per lei era un cammino di fede e sarebbe andata laddove Dio avesse voluto portarla, non dove aveva voluto andare lei. Era esaltata dal percorso, dagli incontri, dall’umanità, dall’abbattimento dei suoi pregiudizi sulla Turchia, toccata da quel che riceveva per mano di Dio da persone di fede musulmana. Con l’altro pellegrino avevano deciso di non chiedere più niente durante l’Avvento, di prendere solo quello che fosse stato loro offerto, e se la stavano cavando alla grande, anzi, il giorno prima erano stati recuperati in mezzo a paesi fantasma abbandonati a causa dell’imminente neve ed erano stati messi in contatto con il sindaco di un paese più a valle che li aveva sistemati in un piccolo appartamento con tutto ciò di cui potevano avere bisogno, cena compresa. I messaggi che mi invia sono intrisi di riferimenti a Dio e alla divina provvidenza, io un po’ continuo a trovarli strani però ho capito come pensa Malie e comprendo bene che dal suo punto di vista sono inappuntabili. Soprattutto la trovo una personalità molto più vivace e interessante di Lucia Mondella (per me il personaggio più noioso della letteratura italiana) e un po’ sorrido, appunto, ma molto sono solo contenta per lei. E ok, un po’ nostalgica per me: vivere ogni giorno per mesi quel che ho vissuto io nei pochi giorni di cammino insieme deve essere un’esperienza impossibile da contenere in un solo cuore. Malie l’ha definita spogliante e vertiginosa, io totalmente disarmante ma in fondo credo che, una credente e l’altra no, stessimo descrivendo esattamente la stessa sensazione.

Post scriptum per chi legge nel 2022: Malie non è arrivata a Gerusalemme come da obiettivo iniziale, la chiusura delle frontiere a causa della pandemia l’ha costretta a modificare il suo percorso. Ha terminato quindi il suo pellegrinaggio a Tarso, nella parte orientale della Turchia, intorno a Natale. Era ugualmente molto contenta e io sono stata altrettanto contenta per lei, come si è contenti quando le persone a cui vogliamo genuianamente bene riescono in qualcosa. Una volta rientrata in Francia prevedeva di ritirarsi in solitudine nella casa di famiglia in montagna e prepararsi a riprendere l’insegnamento a febbraio. Ad ora, 13 gennaio, non so niente del suo rientro, resto comunque estremamente curiosa di scoprire come riuscirà a ributtarsi nel quotidiano dopo un’esperienza del genere. Se mai ci rincontreremo glielo chiederò senz’altro.

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